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La
donna-guerriero
1

Nell'anno decimosecondo del regno di
Nabucodònosor, che
regnava sugli Assiri nella grande città di Ninive, Arpacsàd regnava
sui Medi in Ecbàtana. Questi edificò intorno a Ecbàtana
mura con pietre tagliate nella misura di tre cubiti di larghezza e sei
cubiti di lunghezza, portando l'altezza del muro a settanta cubiti e la
larghezza a cinquanta cubiti. Costruì alle porte della
città le torri murali alte cento cubiti e larghe alla base sessanta
cubiti; costruì le porte portandole fino all'altezza di
settanta cubiti: la larghezza di ciascuna era di quaranta cubiti, per il
passaggio dell'esercito dei suoi forti e l'uscita in parata dei suoi
fanti. In quel periodo di tempo il re Nabucodònosor mosse
guerra al re Arpacsàd nella grande pianura, cioè nella piana che si
trova nel territorio di Ragau. Ma si schierarono a fianco di
costui tutti gli abitanti delle montagne e quelli della zona
dell'Eufrate, del Tigri e dell'Idaspe e gli abitanti della pianura di
Arioch, re degli Elamiti. Così molte genti si trovarono adunate in
aiuto ai figli di Cheleud.

Allora Nabucodònosor re degli
Assiri spedì messaggeri a tutti gli abitanti della Persia e a tutti gli
abitanti delle regioni occidentali: a quelli della Cilicia e di Damasco,
del Libano e dell'Antilibano e a tutti gli abitanti della fascia
litoranea e a quelli che appartenevano alle popolazioni del
Carmelo e di Gàlaad, della Galilea superiore e della grande pianura di
Esdrelon; a tutti gli abitanti della Samaria e delle sue
città, a quelli che stavano oltre il Giordano fino a Gerusalemme,
Batane, Chelus e Cades e al torrente d'Egitto, nonché a Tafni, a
Ramesse e a tutto il paese di Gessen, fino a comprendere la
regione al di sopra di Tanis e Menfi, e ancora a tutti gli abitanti
dell'Egitto sino ai confini dell'Etiopia. Ma gli abitanti
di tutte queste regioni disprezzarono l'invito di Nabucodònosor re
degli Assiri e non lo seguirono nella guerra, perché non avevano alcun
timore di lui, che agli occhi loro era come un uomo qualunque. Essi
respinsero i suoi messaggeri a mani vuote e con disonore. Allora
Nabucodònosor si accese di sdegno terribile contro tutte queste regioni
e giurò per il suo trono e per il suo regno che avrebbe fatto sicura
vendetta, devastando con la spada i paesi della Cilicia, di Damasco e
della Siria, tutte le popolazioni della terra di Moab, gli Ammoniti,
tutta la Giudea e tutti gli abitanti dell'Egitto fino al limite dei due
mari. Quindi marciò con l'esercito contro il re Arpacsàd nel
diciassettesimo anno, e prevalse su di lui in battaglia, travolgendo
l'esercito di Arpacsàd con tutta la sua cavalleria e tutti i suoi
carri. S'impadronì delle sue città, giunse fino a
Ecbàtana e ne espugnò le torri, ne saccheggiò le piazze e ne mutò lo
splendore in ludibrio. Poi sorprese Arpacsàd sui monti di Ragau, lo trafisse con le sue lance e lo tolse di mezzo in quel giorno.
Fece
quindi ritorno a Ninive con tutto l'esercito eterogeneo, che era una
moltitudine infinita di guerrieri e si fermò là, egli e il suo
esercito, per centoventi giorni dandosi a divertimenti e banchetti.
2

Nell'anno decimottavo, il giorno ventidue del primo mese,
nel palazzo di Nabucodònosor re degli Assiri, fu discusso un piano di
vendetta contro tutta la terra, come aveva annunziato. Radunò
tutti i suoi ministri e i suoi dignitari, tenne con loro consiglio
segreto ed espose compiutamente con la sua parola tutta la perfidia di
quelle regioni. Essi decisero che si dovesse punire con la
distruzione chiunque non si era allineato con l'ordine da lui emanato. Quando
ebbe finito la consultazione, Nabucodònosor re degli Assiri chiamò
Oloferne, generale supremo del suo esercito, che teneva il secondo posto
dopo di lui, e gli disse: "Questo dice il gran re, il
signore di tutta la terra: Ecco tu uscirai come mio luogotenente e
prenderai con te uomini valorosi: centoventimila fanti e un contingente
di dodicimila cavalli con i loro cavalieri; quindi muoverai
contro tutti i paesi di occidente, perché quelle regioni hanno
disobbedito al mio comando. A costoro ordinerai di preparare
la terra e l'acqua, perché con collera piomberò su di loro e coprirò
la terra con i piedi del mio esercito e li metterò in suo potere per il
saccheggio. Quelli di loro che cadranno colpiti riempiranno
le loro valli e ogni torrente e fiume sarà pieno dei loro cadaveri fino
a straripare; i loro prigionieri li spingerò fino agli
estremi di tutta la terra.

Tu dunque va' e occupa per me
tutto il loro paese e, quando si saranno arresi a te, li terrai a mia
disposizione fino al giorno del loro castigo. Quanto ai
ribelli, non abbia il tuo occhio compassione di destinarli alla morte e
alla devastazione in tutto il territorio. Come è vero che
vivo io e vive la potenza del mio regno, questo ho detto e questo farò
di mia mano. Da parte tua bada di non trasgredire alcuna
parola del tuo signore, ma eseguisci esattamente ciò che ti ho
comandato e non indugiare a tradurre in atto i comandi". Oloferne
uscì dalla corte del suo signore e convocò i comandanti, gli strateghi
e gli ufficiali dell'esercito assiro; quindi scelse e
contò gli uomini per le sue formazioni, come gli aveva comandato il suo
signore, in numero di centoventimila, più dodicimila arcieri a cavallo,
e li ordinò come si usa inquadrare la truppa per la
guerra. Prese poi cammelli e asini e muli in dotazione alle
truppe, in numero grandissimo, e ancora pecore e buoi e capre in
quantità innumerevole per il loro vettovagliamento. Provvide
ancora razioni in abbondanza per ciascun uomo e gran rifornimento d'oro
e d'argento dal tesoro del re. Partirono dunque lui e tutte
le sue truppe per iniziare la spedizione e precedere il re
Nabucodònosor e ricoprire la terra occidentale con i loro carri e i
cavalieri e la fanteria scelta. Si unì anche a loro una
moltitudine varia, numerosa come le cavallette e come la polvere del
suolo, che non si poteva affatto contare per la grande quantità.

Mossero da Ninive camminando tre giorni in direzione
della pianura di Bectilet e si accamparono a distanza di Bectilet vicino
al monte che sta sulla sinistra della Cilicia superiore. Di
là, muovendo tutto il suo esercito, fanti e cavalli e carri, Oloferne
si diresse verso la montagna. Quindi devastò Fud e Lud e
depredò i figli di Rassis e gli Ismaeliti, che abitavano lungo il
deserto a mezzogiorno di Cheleon. In seguito passò
l'Eufrate, attraversò la Mesopotamia e demolì le città che
s'innalzavano sul torrente Abrona e nel territorio fino al mare. Poi
invase i paesi della Cilicia, sterminò quanti gli si opponevano e venne
nella regione di Iafet verso mezzogiorno alle frontiere dell'Arabia. Accerchiò
anche tutti i Madianiti e appiccò il fuoco ai loro attendamenti e
depredò il loro bestiame. Proseguendo, scese verso la
pianura di Damasco nei giorni della mietitura del grano, diede fuoco a
tutti i loro campi e votò allo sterminio i loro greggi e armenti,
saccheggiò le loro città, devastò le loro campagne e passò a fil di
spada tutti i giovani. Allora si sparse la paura e il
terrore di lui fra tutte le popolazioni della costa, su quelle che si
trovavano in Sidòne e in Tiro, fra gli abitanti di Sur e Okina, su
tutte le genti di Iemnaan, e anche gli abitanti di Asdòd e Àscalon ne
ebbero grande terrore.
3

Perciò gli inviarono messaggeri con proposte di pace:
"Ecco,
ci mettiamo davanti a te noi, figli del gran re Nabucodònosor; fa' di
noi quanto ti piacerà. Ecco le nostre case e tutto il
nostro territorio e tutti i campi di grano, i greggi e gli armenti e
tutto il bestiame dei nostri attendamenti sono a tua disposizione
perché tu ne faccia quel che vuoi. Anche le nostre città e
quanti vi abitano, ecco sono tuoi servi, vieni e trattale come ti
piacerà". Si presentarono di fatto ad Oloferne quegli
uomini e si espressero con lui su questo tono. Egli scese
allora con il suo esercito lungo la costa e pose presidï nelle
fortezze, poi prelevò da esse uomini scelti come ausiliari. Quelle
popolazioni con tutto il paese circostante lo accolsero con corone e
danze e suono di timpani. Ma egli demolì tutti i loro
templi e tagliò i boschi sacri, perché aveva ordine di distruggere
tutti gli dèi della terra, in modo che tutti i popoli adorassero solo
Nabucodònosor e tutte le lingue e le tribù lo acclamassero come dio. Poi
giunse in vista di Esdrelon, vicino a Dotain, che è di fronte alle
grandi montagne della Giudea. Essi si accamparono fra Gebe
e Scitopoli e Oloferne rimase là un mese intero per raccogliere tutto
il bottino delle sue truppe.
4

Quando gli Israeliti che abitavano in tutta la Giudea
sentirono per fama quanto Oloferne, il comandante supremo di
Nabucodònosor, aveva fatto agli altri popoli e come aveva messo a sacco
tutti i loro templi e li aveva votati allo sterminio, furono
presi da indescrivibile terrore all'avanzarsi di lui e furono costernati
a causa di Gerusalemme e del tempio del Signore, loro Dio. Oltre
tutto, essi erano tornati da poco dalla prigionia e di recente tutto il
popolo si era radunato in Giudea; erano stati consacrati gli arredi
sacri e l'altare e il tempio dopo la profanazione. Perciò
spedirono messaggeri in tutto il territorio della Samaria, a Kona, a
Bet-Coron, a Belmain, a Gèrico e ancora a Choba, ad Aisora e alle
strette di Salem, e disposero di occupare in anticipo le
cime dei monti più alti, di circondare di mura i villaggi di quelle
zone e di raccogliere vettovaglie in preparazione alla guerra, tanto
più che nelle loro campagne era appena terminata la mietitura. Inoltre
Ioakìm, sommo sacerdote in Gerusalemme in quel periodo di tempo,
scrisse agli abitanti di Betulia e Betomestaim, situata di fronte a
Esdrelon all'imbocco della pianura che si stende vicino a Dotain, ordinando
loro di occupare i valichi dei monti, perché di là si apriva la via
d'ingresso alla Giudea e sarebbe stato facile arrestarli al valico, dove
erano obbligati per la strettezza del passaggio a procedere tutti a due
a due. Gli Israeliti fecero come aveva loro ordinato il
sommo sacerdote Ioakìm e il consiglio degli anziani di tutto il popolo
d'Israele, che si trovava a Gerusalemme.

Nello stesso tempo ogni Israelita levò il suo grido a
Dio con fervida insistenza e tutti si umiliarono con grande impegno. Essi
con le mogli e i bambini, i loro armenti e ogni ospite e mercenario e i
loro schiavi si cinsero di sacco i fianchi. Ogni uomo o
donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si
prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti
di sacco, alzarono le mani davanti al Signore. Ricoprirono
di sacco anche l'altare e alzarono il loro grido al Dio di Israele
tutt'insieme senza interruzione, supplicando che i loro figli non
venissero abbandonati allo sterminio, le loro mogli alla schiavitù, le
città di loro eredità alla distruzione, il santuario alla profanazione
e al ludibrio in mano alle genti. Il Signore porse
l'orecchio al loro grido e volse lo sguardo alla loro tribolazione,
mentre il popolo digiunava da molti giorni in tutta la Giudea e in
Gerusalemme davanti al santuario del Signore onnipotente. Ioakìm
sommo sacerdote e tutti gli altri sacerdoti che stavano davanti al
Signore e tutti i ministri del culto divino, con i fianchi cinti di
sacco, offrivano l'olocausto perenne, i sacrifici votivi e le offerte
volontarie del popolo. Avevano cosparso di cenere i loro
turbanti e invocavano a piena voce il Signore, perché provvedesse
benignamente a tutta la casa di Israele.
5

Fu riferito intanto ad Oloferne, comandante supremo
dell'esercito di Assur, che gli Israeliti si preparavano alla guerra e
avevano bloccato i passi montani, avevano fortificato tutte le sommità
dei monti e avevano disposto ostacoli nelle pianure. Egli
montò in gran furore e convocò tutti i capi di Moab e gli strateghi di
Ammon e tutti i satrapi delle regioni marittime, e disse
loro: "Spiegatemi un pò, voi figli di Canaan, che popolo è questo
che dimora sui monti e come sono le città che egli abita, quanti sono
gli effettivi del suo esercito, dove risiede la loro forza e il loro
vigore, chi si è messo alla loro testa come re e condottiero del loro
esercito e perché hanno rifiutato di venire incontro a me a
differenza di tutte le popolazioni dell'occidente". Gli rispose Achior, condottiero di tutti gli Ammoniti:
"Ascolti bene il mio signore la risposta dalle labbra del suo
servo: io riferirò la verità sul conto di questo popolo, che sta su
queste montagne vicino al luogo ove risiedi, né uscirà menzogna dalla
bocca del suo servo. Questo popolo si compone di discendenti
dei Caldei. Essi si trasferirono dapprima nella Mesopotamia,
perché non vollero seguire gli dèi dei loro padri che si trovavano nel
paese dei Caldei. Essi avevano abbandonato la tradizione dei
loro padri e avevano adorato il Dio del cielo, quel Dio che essi avevano
conosciuto; perciò li avevano scacciati dalla presenza dei loro dèi ed
essi si erano rifugiati in Mesopotamia e furono là per molto tempo. Ma
il loro Dio comandò loro di uscire dal paese che li ospitava e venire
nel paese di Canaan.

Qui infatti si stabilirono e si arricchirono di oro
e di argento e di bestiame in gran numero. Poi scesero in
Egitto, perché la fame aveva invaso tutto il paese di Canaan, e vi
rimasero come stranieri finché trovarono da vivere. Là divennero anche
una moltitudine imponente, tanto che non si poteva contare la loro
discendenza. Ma si alzò contro di loro il re dell'Egitto
che li sfruttò nella preparazione dei mattoni e perciò furono umiliati
e trattati come schiavi. Essi alzarono suppliche al loro
Dio e questi percosse tutto il paese d'Egitto con castighi ai quali non
c'era rimedio. Perciò gli Egiziani li mandarono via dal loro paese. Dio
asciugò il Mare Rosso davanti a loro e li guidò per la
via del Sinai e di Cadesbarne; essi eliminarono quanti risiedevano nel
deserto. Poi dimorarono nel paese degli Amorrei e
sterminarono con la loro forza gli abitanti di Esebon; quindi passarono
il Giordano e si insediarono in tutte quelle montagne. Scacciarono
davanti a loro il Cananeo, il Perizzita, il Gebuseo, Sichem e tutti i
Gergesei e abitarono nel loro territorio per molti anni. In
realtà fin quando non peccavano contro il loro Dio erano nella
prosperità, perché il Dio che è con loro odia il male. Quando
invece si allontanarono dagli ordinamenti che egli aveva loro imposti,
furono terribilmente sconfitti in molte guerre e condotti prigionieri in
paese straniero, il tempio del loro Dio fu raso al suolo e le loro
città caddero in potere dei loro nemici. Ora appunto,
riconciliati con il loro Dio, hanno fatto ritorno dai luoghi dove erano
stati dispersi, hanno ripreso possesso di Gerusalemme, dove è il loro
santuario, e si sono stabiliti sulle montagne, che prima erano deserte. Ora,
mio sovrano e signore, se vi è qualche aberrazione in questo popolo
perché ha peccato contro il suo Dio, se cioè ci accorgiamo che c'è in
mezzo a loro questo inciampo, avanziamo e diamo loro battaglia. Se
invece non c'è alcuna trasgressione nella loro gente, il mio signore
passi oltre, perché il Signore, che è il loro Dio, non si faccia loro
scudo e noi diveniamo oggetto di scherno davanti a tutta la terra".
Ecco, appena Achior cessò di pronunziare queste parole,
tutta la turba che circondava la tenda e stazionava intorno, alzò un
mormorio, mentre gli ufficiali di Oloferne e tutti gli abitanti della
costa e i Moabiti proponevano di ucciderlo. "Non
avremo certo paura degli Israeliti, dicevano; vedete che è un popolo
nel quale non ci sono esercito né forze armate per un valido
schieramento. Dunque avanziamo presto e saranno pascolo di
tutto il tuo esercito, o sovrano Oloferne".
6

Quando si fu calmata l'agitazione degli uomini che
presenziavano tutt'intorno al convegno, parlò Oloferne, comandante
supremo dell'esercito di Assur, rivolgendosi ad Achior alla presenza di
tutta quell'assemblea di stranieri e a tutti i Moabiti: "Chi
sei tu, Achior, e i mercenari di Èfraim, per profetare in mezzo a noi
come hai fatto oggi e suggerire di non combattere il popolo d'Israele,
perché il loro Dio li proteggerà dall'alto? E che altro dio c'è se
non Nabucodònosor? Questi invierà la sua forza e li sterminerà dalla
terra, né servirà il loro Dio a liberarli. Saremo noi suoi
servi a spazzarli via come un sol uomo, perché non potranno sostenere
l'impeto dei nostri cavalli. Li bruceremo in casa loro, i
loro monti s'inebrieranno del loro sangue, i loro campi si colmeranno
dei loro cadaveri, né potrà resistere la pianta dei loro piedi davanti
a noi, ma saranno tutti distrutti. Questo dice Nabucodònosor, il
signore di tutta la terra: così ha parlato e le sue parole non potranno
essere smentite. Quanto a te, Achior, mercenario di Ammon,
che hai detto queste cose nel giorno della tua sventura, non vedrai più
la mia faccia da oggi fino a quando farò vendetta di questa razza che
viene dall'Egitto. Allora il ferro dei miei soldati e la
numerosa schiera dei miei ministri trapasserà i tuoi fianchi e tu
cadrai fra i loro cadaveri, quando io tornerò a vederti. I
miei servi ora ti esporranno sulla montagna e ti porranno in una delle
città sul percorso; non morirai finché non sarai
sterminato con loro. Ma se speri in cuor tuo che essi non
saranno presi, non sia il tuo aspetto così depresso. Ho detto: nessuna
mia parola andrà a vuoto".

Allora Oloferne diede ordine ai suoi servi, che erano di
turno nella sua tenda, di prendere Achior, di esporlo vicino a Betulia e
di abbandonarlo nelle mani degli Israeliti. I suoi servi lo
presero e lo condussero fuori dell'accampamento in aperta campagna, lo
menarono dal mezzo della pianura verso la montagna e si trovarono presso
le fonti che erano sotto Betulia. Quando gli uomini della
città li scorsero sulla cresta del monte, presero le armi e uscirono
dalla città dirigendosi verso la cresta.

Tutti i frombolieri occuparono
i sentieri di accesso e si misero a lanciare pietre su di loro. Quelli
ridiscesero al riparo del monte, legarono Achior e lo abbandonarono
gettandolo a terra alle falde del monte, quindi fecero ritorno al loro
signore. Gli Israeliti scesero dalla loro città, si
avvicinarono a lui, lo slegarono, lo condussero in Betulia e lo
presentarono ai capi della città, che in quel tempo erano
Ozia figlio di Mica della tribù di Simeone, Cabri figlio di Gotonièl e
Carmi figlio di Melchièl. Radunarono subito tutti gli
anziani della città e tutti i giovani e le donne accorsero al luogo del
raduno. Posero Achior in mezzo a tutta quell'adunanza e Ozia lo
interrogò sull'accaduto. Quegli riferì loro le parole del
consiglio di Oloferne e tutto il discorso che Oloferne aveva pronunziato
in mezzo ai capi degli Assiri e quanto aveva detto superbamente contro
il popolo d'Israele. Allora tutto il popolo si prostrò ad
adorare Dio e alzò queste suppliche: "Signore, Dio
del cielo, guarda la loro superbia, abbi pietà dell'umiliazione della
nostra stirpe e accogli benigno in questo giorno la presenza di coloro
che sono consacrati a te". Poi confortarono Achior e
gli rivolsero parole di gran lode; Ozia da parte sua lo
accolse dopo l'adunanza nella sua casa e offrì un banchetto a tutti gli
anziani; per tutta quella notte invocarono l'aiuto del Dio d'Israele.
7

Il giorno dopo, Oloferne diede ordine a tutto l'esercito
e a tutta la moltitudine di coloro che erano venuti come suoi alleati,
di iniziare l'azione contro Betulia, occupando le vie d'accesso alla
montagna e attaccando battaglia contro gli Israeliti. In
quel giorno effettivamente ogni uomo valido fra loro si pose in marcia.
Il loro esercito si componeva di centosettantamila fanti e dodicimila
cavalieri, senza contare gli addetti ai servizi e molti altri uomini che
erano a piedi con loro, in numero ingente. Essi si
accamparono nella valle vicina a Betulia oltre la sorgente, allargandosi
dalla zona sopra Dotain fino a Belbaim ed estendendosi da Betulia fino a
Kiamon, che è di fronte a Esdrelon. Gli Israeliti, quando
videro la loro moltitudine, rimasero molto costernati e si dicevano l'un
l'altro: "Ora costoro inghiottiranno tutta la terra, né i monti
più alti, né le valli profonde, né i colli potranno resistere al loro
peso". Ognuno prese la sua armatura e, accesi i fuochi
sulle torri, stettero in guardia tutta quella notte. Il
giorno seguente Oloferne fece uscire tutta la cavalleria contro il
fronte degli Israeliti che erano in Betulia, osservò le vie
di accesso alla loro città, ispezionò le sorgenti d'acqua e le occupò
e, dopo avervi posto attorno guarnigioni di uomini armati, fece ritorno
tra la sua gente. Allora gli si avvicinarono tutti gli
Idumei e tutti i capi del popolo di Moab e gli strateghi della costa e
gli dissero:

"Voglia ascoltare il signor nostro una
parola, perché siano evitati inconvenienti nel tuo esercito. Questo
popolo non si affida alle sue lance, ma all'altezza dei monti, sui quali
essi si sono appostati, e certo non è facile arrivare sulle creste dei
loro monti. Quindi, signore, non attaccare costoro come si
usa nella battaglia campale e non cadrà un sol uomo del tuo esercito. Rimani
fermo nel tuo accampamento avendo buona cura di ogni uomo del tuo
esercito: intanto i tuoi gregari vadano ad occupare la sorgente
dell'acqua che sgorga alla radice del monte, perché di là
attingono tutti gli abitanti di Betulia; vedrai che la sete li farà
morire e verranno alla resa della loro città. Noi e la nostra gente
saliremo sulle vicine alture dei monti e ci apposteremo su di esse e
staremo a guardia per non lasciare uscire dalla città alcun uomo. Così
cadranno sfiniti dalla fame essi, le loro donne, i loro figli e, prima
che la spada arrivi su di loro, saranno stesi sulle piazze fra le loro
case. Avrai così reso loro un terribile contraccambio
perché si sono ribellati e non hanno voluto venire incontro a te con
intenzioni pacifiche". Piacque questo discorso ad
Oloferne e a tutti i suoi ministri e diede ordine che si facesse come
avevano proposto. Si mosse quindi il reparto dei Moabiti e
cinquemila Assiri con loro, si accamparono nella valle e occuparono gli
acquedotti e le sorgenti d'acqua degli Israeliti. A loro
volta gli Idumei e gli Ammoniti, con dodicimila Assiri, salirono e si
appostarono sulla montagna di fronte a Dotain. Spinsero anche
contingenti dei loro a meridione e a oriente di fronte a Egrebel, che si
trova vicino a Chus, situata sul torrente Mochmur. Il rimanente esercito
degli Assiri restò accampato nella pianura ricoprendo tutta
l'estensione del terreno. Le tende e gli equipaggiamenti costituivano
una massa imponente, perché essi erano in realtà una turba immensa.

Allora gli Israeliti alzarono suppliche al Signore loro
Dio, con l'animo in preda all'abbattimento, perché da ogni parte li
avevano circondati i nemici e non c'era modo di passare in mezzo a loro.
Il campo degli Assiri al completo, fanti, carri e cavalli,
rimase fermo tutt'attorno per trentaquattro giorni e venne a mancare a
tutti gli abitanti di Betulia ogni riserva d'acqua. Anche
le cisterne erano vuote e non potevano più bere a sazietà un giorno
solo, perché distribuivano da bere in quantità razionata. Incominciarono
i bambini a cadere sfiniti, le donne e i ragazzi venivano meno per la
sete e cadevano nelle piazze della città e nei passaggi delle porte e
ormai non rimaneva più in loro alcuna energia. Allora
tutto il popolo si radunò presso Ozia e i capi della città, con
giovani, donne e fanciulli, e alzarono grida e dissero davanti a tutti
gli anziani: "Sia giudice il Signore tra voi e noi,
perché voi ci avete recato un grave danno rifiutando di proporre la
pace agli Assiri. Ora non c'è più nessuno che ci possa
aiutare, perché Dio ci ha venduti in balìa di costoro per essere
abbattuti davanti a loro dalla sete e da terribili mali. Ormai
chiamateli e consegnate la città intera per il saccheggio al popolo di
Oloferne e a tutto il suo esercito. È meglio per noi esser
loro preda; diventeremo certo loro schiavi, ma potremo vivere e non
vedremo con i nostri occhi la morte dei nostri bambini, né le donne e i
nostri figli esalare l'ultimo respiro. Chiamiamo a
testimonio contro di voi il cielo e la terra e il nostro Dio, il Signore
dei nostri padri, che ci punisce per la nostra iniquità e per le colpe
dei nostri padri, perché non ci lasci più in una situazione come
questa in cui siamo oggi". Successe allora un pianto
generale in mezzo all'adunanza e gridarono suppliche a gran voce al
Signore loro Dio. Ozia rispose loro: "Coraggio,
fratelli, resistiamo ancora cinque giorni e in questo tempo il Signore
Dio nostro rivolgerà di nuovo la misericordia su di noi; non è
possibile che egli ci abbandoni fino all'ultimo. Ma se
proprio passeranno questi giorni e non ci arriverà alcun aiuto, farò
secondo le vostre richieste". Così rimandò il popolo
ciascuno al proprio posto ed essi tornarono sulle mura e sulle torri
della città e rimandarono le donne e i figli alle loro case; ma tutti
nella città erano in grande abbattimento.
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In quei giorni venne a conoscenza della situazione
Giuditta figlia di Merari, figlio di Oks, figlio di Giuseppe, figlio di
Oziel, figlio di Elkia, figlio di Anania, figlio di Gedeone, figlio di
Rafain, figlio di Achitob, figlio di Elia, figlio di Chelkia, figlio di
Eliàb, figlio di Natanaèl, figlio di Salamiel, figlio di Sarasadai,
figlio di Israele. Suo marito era stato Manàsse, della
stessa tribù e famiglia di lei; egli era morto al tempo della mietitura
dell'orzo. Mentre stava sorvegliando quelli che legavano i
covoni nella campagna, il suo capo fu colpito da insolazione. Dovette
mettersi a letto e morì in Betulia sua città e lo seppellirono con i
suoi padri nel campo che sta tra Dotain e Balamon. Giuditta
era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già
tre anni e quattro mesi. Si era fatta preparare una tenda
sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava
le vesti delle vedove. Da quando era vedova digiunava tutti
i giorni, eccetto le vigilie dei sabati e i sabati, le vigilie dei
noviluni e i noviluni, le feste e i giorni di gioia per Israele. Era
bella d'aspetto e molto avvenente nella persona; inoltre suo marito
Manàsse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti e
terreni ed essa era rimasta padrona di tutto. Nè alcuno
poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché temeva molto Dio.
Venne dunque a sapere le parole esasperate rivolte dal
popolo alle autorità, perché erano demoralizzati per la mancanza
d'acqua, e anche Giuditta seppe di tutte le risposte che aveva date loro
Ozia e come avesse giurato loro di consegnare la città agli Assiri dopo
cinque giorni. Subito mandò la sua ancella particolare che
aveva in cura tutte le sue sostanze a chiamare Cabri e Carmi, che erano
gli anziani della sua città. Vennero da lei ed essa disse
loro: "Ascoltatemi bene, voi capi dei cittadini di Betulia. Non è
stato affatto conveniente il discorso che oggi avete tenuto al popolo,
aggiungendo il giuramento che avete pronunziato e interposto tra voi e
Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il
Signore non vi avrà mandato aiuto. Chi siete voi dunque
che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di
lui, mentre non siete che uomini? Certo, voi volete mettere
alla prova il Signore onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora
né mai. Se non siete capaci di scorgere il fondo del cuore
dell'uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete
scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi
pensieri o comprendere i suoi disegni?

No, fratelli, non vogliate
irritare il Signore nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in
questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che
vuole o anche di farci distruggere da parte dei nostri nemici. E
voi non pretendete di impegnare i piani del Signore Dio nostro, perché
Dio non è come un uomo che gli si possan fare minacce e pressioni come
ad uno degli uomini. Perciò attendiamo fiduciosi la
salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e
ascolterà il nostro grido se a lui piacerà. Realmente in
questa nostra generazione non c'è mai stata, né esiste oggi una tribù
o famiglia o popolo o città tra di noi, che adori gli dèi fatti da
mano d'uomo, come è avvenuto nei tempi passati. Per questo
motivo i nostri padri furono abbandonati alla spada e alla devastazione
e caddero rovinosamente davanti ai loro nemici. Noi invece
non riconosciamo altro Dio fuori di lui e per questo speriamo che egli
non trascurerà noi e neppure la nostra nazione. Perché se
noi saremo presi, resterà presa anche tutta la Giudea e sarà
saccheggiato il nostro santuario e Dio chiederà ragione di quella
profanazione al nostro sangue. L'uccisione dei nostri
fratelli, l'asservimento della patria, la devastazione della nostra
eredità Dio la farà ricadere sul nostro capo in mezzo ai popoli pagani
tra i quali ci capiterà di essere schiavi e saremo così motivo di
scandalo e di disprezzo di fronte ai nostri padroni. La
nostra schiavitù non ci guadagnerà alcun favore, perché la porrà a
nostro disonore il Signore Dio nostro. Dunque, fratelli,
dimostriamo ai nostri fratelli che la loro vita dipende da noi, che i
nostri sacri pegni, il tempio e l'altare, poggiano su di noi. Oltre
tutto ringraziamo il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha
già fatto con i nostri padri. Ricordatevi quanto ha fatto
con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto
a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava i greggi di Làbano
suo zio materno.

Certo, come ha passato al crogiuolo
costoro non altrimenti che per saggiare il loro cuore, così ora non
vuol far vendetta di noi, ma è a fine di correzione che il Signore
castiga coloro che gli stanno vicino". Allora rispose
a lei Ozia: "Quanto hai detto, l'hai proferito con cuore retto e
nessuno può contraddire alle tue parole. Poiché non da
oggi è manifesta la tua saggezza, ma dall'inizio dei tuoi giorni tutto
il popolo conosce la tua prudenza, così come l'ottima indole del tuo
cuore. Ma il popolo soffriva terribilmente la sete e ci ha
costretti a comportarci come abbiamo fatto, parlando loro a quel modo e
addossandoci un giuramento che non potremo trasgredire. Ma
ora prega per noi tu che sei donna pia e il Signore invierà la pioggia
a riempire le nostre cisterne e non continueremo a venir meno". Giuditta
rispose loro: "Sentite, voglio compiere un'impresa che passerà di
generazione in generazione ai figli del nostro popolo. Voi
starete di guardia alla porta della città questa notte: io uscirò con
la mia ancella ed entro quei giorni dopo i quali avete deciso di
consegnare la città ai nostri nemici, il Signore per mia mano
provvederà a Israele. Voi però non indagate sul mio
piano: non vi dirò niente finché non sarà compiuto quel che voglio
fare". Le risposero Ozia e i capi: "Va' in pace e
il Signore Dio sia con te per far vendetta dei nostri nemici". Se
ne andarono quindi dalla sua tenda e si recarono ai loro posti.
9

Allora Giuditta cadde con la faccia a terra e sparse
cenere sul capo e mise allo scoperto il sacco di cui sotto era rivestita
e, nell'ora in cui veniva offerto nel tempio di Dio in Gerusalemme
l'incenso della sera, Giuditta supplicò a gran voce il Signore: "Signore,
Dio del padre mio Simeone, tu hai messo nella sua mano la spada della
vendetta contro gli stranieri, contro coloro che avevano sciolto a
ignominia la cintura d'una vergine, ne avevano denudato i fianchi a
vergogna e ne avevano contaminato il grembo a infamia. Tu avevi detto:
non si deve fare tal cosa! ma essi l'hanno fatta. Per questo
hai consegnato alla morte i loro capi e al sangue quel loro giaciglio,
macchiato del loro inganno, ripagato con l'inganno; hai abbattuto i
servi con i loro capi e i capi sui loro troni. Hai destinato
le loro mogli alla preda, le loro figlie alla schiavitù, tutte le loro
spoglie alla divisione tra i tuoi figli diletti, perché costoro, accesi
del tuo zelo, erano rimasti inorriditi della profanazione del loro
sangue e a te avevano gridato chiamandoti in aiuto. Dio, Dio mio,
ascolta anche me che sono vedova.

Tu hai preordinato ciò
che precedette quei fatti e i fatti stessi e ciò che seguì. Tu hai
disposto le cose presenti e le future e quello che tu hai pensato si è
compiuto. Le cose da te deliberate si sono presentate e
hanno detto: Ecco ci siamo; perché tutte le tue vie sono preparate e i
tuoi giudizi sono preordinati. Or ecco gli Assiri hanno
aumentato la moltitudine dei loro eserciti, vanno in superbia per i loro
cavalli e i cavalieri, si vantano della forza dei loro fanti, poggiano
la loro speranza sugli scudi e sulle lance, sugli archi e sulle fionde e
ignorano che tu sei il Signore che disperdi le guerre; Signore
è il tuo nome. Abbatti la loro forza con la tua potenza e rovescia la
loro violenza con la tua ira: fanno conto di profanare il tuo santuario,
di contaminare la Dimora ove riposa il tuo nome e la tua gloria, di
abbattere con il ferro il corno del tuo altare. Guarda la
loro superbia, fa' scendere la tua ira sulle loro teste; infondi a
questa vedova la forza di fare quello che ho deciso. Con
l'inganno delle mie labbra abbatti il servo con il suo padrone e il
padrone con il suo ministro; spezza la loro alterigia per mezzo di una
donna. Perché la tua forza non sta nel numero, né sugli
armati si regge il tuo regno: tu sei invece il Dio degli umili, sei il
soccorritore dei derelitti, il rifugio dei deboli, il protettore degli
sfiduciati, il salvatore dei disperati. Sì, sì, Dio del
padre mio e di Israele tua eredità, Signore del cielo e della terra,
creatore delle acque, re di tutte le tue creature, ascolta la mia
preghiera; fa' che la mia parola e l'inganno diventino
piaga e flagello di costoro, che fanno progetti crudeli contro la tua
alleanza e il tuo tempio consacrato, contro il monte elevato di Sion e
la sede dei tuoi figli. Da' a tutto il tuo popolo e ad ogni
tribù la prova che sei tu il Signore, il Dio d'ogni potere e d'ogni
forza e non c'è altri fuori di te, che possa proteggere la stirpe
d'Israele".
10

Quando Giuditta ebbe cessato di supplicare il Dio di
Israele ed ebbe terminato di pronunziare tutte queste parole, si
alzò dalla prostrazione, chiamò la sua ancella particolare e scese
nella casa, dove usava passare i giorni dei sabati e le sue feste. Qui
si tolse il sacco di cui era rivestita, depose le vesti di vedova, poi
lavò con acqua il corpo e lo unse con profumo denso; spartì i capelli
del capo e vi impose il diadema. Poi si mise gli abiti da festa, che
aveva usati quando era vivo suo marito Manàsse. Si mise i
sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli
e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto
affascinante agli sguardi di qualunque uomo che l'avesse vista. Poi
affidò alla sua ancella un otre di vino, un'ampolla di olio; riempì
anche una bisaccia di farina tostata, di fichi secchi e di pani puri e,
fatto un involto di tutti questi recipienti, glielo mise sulle spalle. Allora
uscirono verso la porta della città di Betulia e trovarono pronti sul
luogo Ozia e gli anziani della città, Cabri e Carmi. Costoro,
quando la videro trasformata nell'aspetto e con gli abiti mutati,
restarono molto ammirati della sua bellezza e le dissero: "Il
Dio dei padri nostri ti conceda di trovar favore e di portare a termine
quello che hai stabilito di fare, a vanto degli Israeliti e ad
esaltazione di Gerusalemme". Essa si chinò ad adorare
Dio e rispose loro: "Fatemi aprire la porta della città e io
uscirò per dar compimento alle parole augurali che mi avete
rivolto". Quelli diedero ordine ai giovani di guardia di aprirle
come aveva chiesto. Così fecero e Giuditta uscì: essa
sola e l'ancella che aveva con sé.
Dalla città gli uomini la seguirono
con gli sguardi mentre scendeva il monte, finché attraversò la vallata
e non poterono più scorgerla. Esse andavano avanti diritte
per la valle, quando si fecero loro incontro le sentinelle assire. La
presero e la interrogarono: "Di qual popolo sei, donde vieni e dove
vai?". Essa rispose: "Sono figlia degli Ebrei e fuggo da loro,
perché stanno per essere consegnati in vostra balìa. Io
quindi vengo alla presenza di Oloferne, comandante supremo dei vostri
eserciti, per rivolgergli parole di verità e mettergli sotto gli occhi
la strada per cui potrà passare e impadronirsi di tutti questi monti
senza che perisca uno solo dei suoi uomini".

Quegli
uomini, quando sentirono queste parole e considerarono l'aspetto di lei,
che appariva loro come un miracolo di bellezza, le dissero: "Hai
messo in salvo la tua vita, scendendo in fretta e venendo alla presenza
del nostro signore. Vieni dunque alla tenda di lui; alcuni di noi ti
accompagneranno, finché non ti abbiano affidato alle sue mani. Quando
poi sarai alla sua presenza, non tremare dentro di te, ma riferisci a
lui quanto ci hai detto ed egli ti tratterà bene". Scelsero
pertanto cento uomini tra di loro, i quali si affiancarono a lei e alla
sua ancella e le condussero alla tenda di Oloferne. In
tutto il campo ci fu un grande accorrere, essendosi sparsa la voce della
sua venuta tra gli attendamenti. La circondarono in massa mentre era
fuori della tenda di Oloferne, in attesa che gliela annunziassero. Erano
ammirati della bellezza di lei e ammirati degli Israeliti a causa di lei
e si dicevano l'un l'altro: "Chi disprezzerà un popolo che
possiede tali donne? Sarà bene non lasciarne sopravvivere alcun uomo,
perché, liberi, potrebbero far perdere la testa a tutto il mondo".
Venne fuori la guardia del corpo di Oloferne e tutti gli
inservienti e la introdussero nella tenda. Oloferne era
adagiato sul suo divano sotto un baldacchino, che era di porpora
ricamata d'oro, di smeraldo e di pietre preziose. Gli
annunziarono la presenza di lei ed egli uscì nel recinto d'ingresso,
preceduto da fiaccole d'argento. Quando Giuditta avanzò
alla presenza di lui e dei suoi ministri, stupirono tutti per la
bellezza del suo aspetto. Essa si prostrò con la faccia a terra per
riverirlo, ma i servi la fecero rialzare.
11
Allora Oloferne le rivolse la parola: "Sta'
tranquilla, o donna, il tuo cuore non abbia timore, perché io non ho
mai fatto male ad alcun uomo che abbia accettato di servire
Nabucodònosor, re di tutta la terra. Quanto al tuo popolo
che abita su questi monti, se non mi avessero disprezzato, non avrei
alzato la lancia contro di loro; essi stessi si sono procurati tutto
questo. Ma ora dimmi per qual motivo sei fuggita da loro e
sei venuta da noi. Certamente sei venuta per trovar salvezza. Fatti
animo: resterai viva questa notte e in seguito. Nessuno ti
può fare un torto, ma ti useranno ogni riguardo, come si fa con i servi
del mio signore, il re Nabucodònosor".

Giuditta gli rispose: "Degnati di accogliere le
parole della tua serva e possa la tua schiava parlare alla tua presenza.
Io non dirò il falso al mio signore in questa notte. Certo,
se vorrai seguire le parole della tua serva, Dio agirà magnificamente
con te e il mio signore non fallirà nei suoi progetti. Perché,
per la vita di Nabucodònosor, re di tutta la terra, e per la potenza di
lui che ti ha inviato a riordinare ogni essere vivente, non gli uomini
soltanto per mezzo tuo lo servono, ma anche le bestie selvatiche e gli
armenti e gli uccelli del cielo vivranno in grazia della tua forza per
l'onore di Nabucodònosor e di tutta la sua casa. Abbiamo
già conosciuto per fama la tua saggezza e le abili astuzie del tuo
genio ed è risaputo in tutta la terra che tu sei il migliore in tutto
il regno, esperto nelle conoscenze e meraviglioso nelle imprese
militari. Quanto al discorso tenuto da Achior nella tua
riunione, noi ne abbiamo udito il contenuto, perché gli uomini di
Betulia l'hanno risparmiato ed egli ha rivelato loro quanto aveva detto
davanti a te. Perciò, signore sovrano, non trascurare le
sue parole, ma imprimile bene nella tua memoria perché sono vere:
realmente il nostro popolo non sarà punito e non prevarrà la spada
contro di lui, se non avrà peccato contro il suo Dio.

Ora
perché il mio signore non resti deluso e a mani vuote, sappia che si
avventerà la morte contro di loro, perché li stringe il peccato per il
quale provocheranno l'ira del loro Dio appena compiranno un gesto
inconsulto. Siccome sono venuti a mancare loro i viveri e
tutta l'acqua è stata consumata, han deciso di mettere le mani sul loro
bestiame e deliberato di consumare quanto Dio con leggi ha vietato loro
di mangiare. Hanno perfino decretato di dar fondo alle
primizie del frumento e alle decime del vino e dell'olio che
conservavano come diritto sacro dei sacerdoti che stanno in Gerusalemme
e fanno servizio alla presenza del nostro Dio, tutte cose che a nessuno
del popolo era permesso neppure di toccare con la mano. Perciò
hanno mandato messaggeri a Gerusalemme, dove anche i cittadini hanno
fatto altrettanto, perché riportino loro il permesso da parte del
consiglio degli anziani. Ma, quando riceveranno la risposta
e la eseguiranno, in quel giorno preciso saranno messi in tuo potere per
l'estrema rovina. Per questo, io tua serva, conscia di
tutte queste cose, sono fuggita da loro e Dio mi ha indirizzata a
compiere con te un'impresa che farà stupire la terra ovunque ne
giungerà la fama. La tua serva è religiosa e serve notte
e giorno al Dio del cielo. Ora io intendo restare con te, mio signore,
ma uscirà la tua serva di notte nella valle; io pregherò il mio Dio ed
egli mi rivelerà quando essi avranno commesso i loro peccati. Allora
verrò a riferirti e tu uscirai con tutto l'esercito e nessuno di loro
potrà opporti resistenza. Io ti guiderò attraverso la
Giudea, finché giungerò davanti a Gerusalemme e vi porrò in mezzo il
tuo trono. Tu li potrai condurre via come pecore senza pastore e nemmeno
un cane abbaierà davanti a te. Queste cose mi sono state dette prima,
io ne ho avuto la rivelazione e l'incarico di annunziarle a te".
Le parole di lei piacquero a Oloferne e ai suoi servi, i
quali tutti ammirarono la sua sapienza e dissero: "Da
un capo all'altro della terra non esiste donna simile, per la bellezza
dell'aspetto e il senno della parola". E Oloferne le
disse: "Bene ha fatto Dio a mandarti avanti al tuo popolo, perché
resti nelle vostre mani la forza e coloro che hanno disprezzato il mio
signore vadano in rovina. Tu sei bella d'aspetto e saggia
nelle parole; se farai come hai detto, il tuo Dio sarà mio Dio e tu
siederai nel palazzo del re Nabucodònosor e sarai famosa in tutto il
mondo.
12

Ordinò poi che la conducessero dove aveva disposto le
sue argenterie e prescrisse pure che le preparassero la tavola con i
cibi approntati per lui e le dessero da bere il suo vino. Ma
disse Giuditta: "Io non toccherò questi cibi, perché non ne venga
qualche contaminazione, ma mi saranno serviti quelli che ho portato con
me". Oloferne le fece osservare: "Quando verrà a
mancare quello che hai con te, dove andremo a rifornirci di cibi uguali
per darteli? In mezzo a noi non c'è nessuno della tua gente". Ma
Giuditta rispose: "Per la tua vita, mio signore, ti assicuro che
io, tua serva, non finirò le riserve che ho con me, prima che il
Signore abbia compiuto per mano mia quello che ha stabilito". Così
i servi di Oloferne la condussero alla tenda ed essa riposò fino a
mezzanotte; poi si alzò all'ora della veglia del mattino. Essa
fece dire ad Oloferne: "Comandi il mio signore che lascino uscire
la tua serva per la preghiera". Oloferne comandò alla
guardia del corpo di non impedirla. Rimase così al campo tre giorni:
usciva di notte nella valle sotto Betulia e si lavava nella zona
dell'accampamento alla sorgente d'acqua. Risalita dal
lavacro, pregava il Signore Dio di Israele di dirigere la sua impresa
volta a ristabilire i figli del suo popolo. Rientrando
purificata, rimaneva nella sua tenda, finché, verso sera, non le si
apprestava il cibo.

Ed ecco, al quarto giorno, Oloferne fece preparare un
rinfresco riservato ai suoi servi, senza invitare a mensa alcuno dei
suoi ufficiali, e disse a Bagoa, il funzionario incaricato
di tutte le sue cose: "Va' e invita quella donna ebrea che è
presso di te a venire con noi, per mangiare e bere assieme a noi, poiché
è cosa disonorevole alla nostra reputazione se lasceremo andare una
donna simile senza godere della sua compagnia; se non sapremo
conquistarla, si farà beffe di noi". Bagoa, uscito
dalla presenza di Oloferne, andò da lei e disse: "Non abbia
difficoltà questa bella ragazza a venire presso il mio signore, per
essere onorata alla sua presenza e bere con noi il vino in giocondità e
divenire oggi come una delle donne assire, che stanno nel palazzo di
Nabucodònosor". Giuditta rispose a lui: "E chi
sono io per osare contraddire il mio signore? Quanto sarà gradito ai
suoi occhi, mi affretterò a compierlo e sarà per me motivo di gioia
fino al giorno della mia morte". Subito si alzò e si
adornò delle vesti e d'ogni altro ornamento muliebre; la sua ancella
l'aveva preceduta e aveva steso a terra per lei davanti ad Oloferne le
pellicce che aveva ricevuto da Bagoa per suo uso quotidiano, per
adagiarvisi sopra e prendere cibo. Giuditta entrò e si
adagiò. Il cuore di Oloferne rimase estasiato e si agitò il suo
spirito, aumentando molto nel suo cuore la passione per lei; già da
quando l'aveva vista, cercava l'occasione di sedurla. Le
disse pertanto Oloferne: "Bevi e datti alla gioia con noi". Giuditta
rispose: "Sì, berrò, signore, perché oggi sento dilatarsi la
vita in me, più che tutti i giorni che ho vissuto". Incominciò
quindi a mangiare e a bere davanti a lui ciò che le aveva preparato
l'ancella. Oloferne si deliziò della presenza di lei e
bevve abbondantemente tanto vino quanto non ne aveva mai bevuto solo in
un giorno da quando era al mondo.
13

Quando si fece buio, i suoi servi si affrettarono a
ritirarsi. Bagoa chiuse dal di fuori la tenda e allontanò le guardie
dalla vista del suo signore e ognuno andò al proprio giaciglio; in
realtà erano tutti fiaccati, perché il bere era stato eccessivo. Rimase
solo Giuditta nella tenda e Oloferne buttato sul divano, ubriaco
fradicio. Allora Giuditta ordinò all'ancella di stare fuori
della sua tenda e di aspettare che uscisse, come aveva fatto ogni
giorno; aveva detto infatti che sarebbe uscita per la sua preghiera e
anche con Bagoa aveva parlato in questo senso. Si erano
allontanati tutti dalla loro presenza e nessuno, piccolo o grande, era
rimasto nella parte più interna della tenda; Giuditta, fermatasi presso
il divano di lui, disse in cuor suo: "Signore, Dio d'ogni potenza,
guarda propizio in quest'ora all'opera delle mie mani per l'esaltazione
di Gerusalemme.

È venuto il momento di pensare alla tua
eredità e di far riuscire il mio piano per la rovina dei nemici che
sono insorti contro di noi". Avvicinatasi alla colonna
del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la
scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la
testa di lui per la chioma e disse: "Dammi forza, Signore Dio
d'Israele, in questo momento". E con tutta la forza di
cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi
ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine
dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua
ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e
uscirono tutt'e due, secondo il loro uso, per la preghiera;
attraversarono il campo, fecero un giro nella valle, poi salirono sul
monte verso Betulia e giunsero alle porte della città.

Giuditta gridò di lontano al corpo di guardia delle
porte: "Aprite, aprite subito la porta: è con noi Dio, il nostro
Dio, per esercitare ancora la sua forza in Israele e la sua potenza
contro i nemici, come ha dimostrato oggi". Non appena
gli uomini della sua città sentirono la sua voce, corsero giù in
fretta alla porta della città e chiamarono gli anziani. Corsero
tutti, piccoli e grandi, perché non s'aspettavano il suo arrivo;
aprirono dunque la porta, le accolsero dentro e, acceso il fuoco per far
chiaro, si fecero loro attorno. Giuditta disse loro a gran
voce: "Lodate Dio, lodatelo; lodate Dio, perché non ha distolto la
sua misericordia dalla casa d'Israele, ma ha colpito i nostri nemici in
questa notte per mano mia". Estrasse allora la testa
dalla bisaccia e la mise in mostra dicendo loro: "Ecco la testa di
Oloferne, comandante supremo dell'esercito assiro; ecco le cortine sotto
le quali giaceva ubriaco; Dio l'ha colpito per mano di donna. Viva
dunque il Signore, che mi ha protetto nella mia impresa, perché costui
si è lasciato ingannare dal mio volto a sua rovina, ma non ha potuto
compiere alcun male con me a mia contaminazione e vergogna".

Tutto il popolo era oltremodo fuori di sé e tutti si
chinarono ad adorare Dio, esclamando in coro: "Benedetto sei tu,
nostro Dio, che hai annientato in questo giorno i nemici del tuo
popolo". Ozia a sua volta le disse: "Benedetta
sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che
vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e
la terra e ti ha guidato a troncare la testa del capo dei nostri nemici.
Davvero il coraggio che hai avuto non cadrà dal cuore
degli uomini, che ricorderanno sempre la potenza di Dio. Dio
faccia riuscire questa impresa a tua perenne esaltazione, ricolmandoti
di beni, in riconoscimento della prontezza con cui hai esposto la vita
di fronte all'umiliazione della nostra stirpe, e hai sollevato il nostro
abbattimento, comportandoti rettamente davanti al nostro Dio". E
tutto il popolo esclamò: "Amen! Amen!".
14

Giuditta rispose loro: "Ascoltatemi bene, fratelli:
prendete questa testa e appendetela sugli spalti delle vostre mura. Attendete
poi che sia apparsa la luce del mattino e sia sorto il sole sulla terra:
allora, ognuno prenda l'armatura da guerra e ogni uomo valido esca dalla
città. Quindi, date inizio all'azione contro di loro come se voleste
scendere al piano contro le prime difese degli Assiri, ma in realtà non
scenderete. Quelli prenderanno le loro armi e correranno
entro il loro accampamento a svegliare i capi dell'esercito assiro. Poi
si raduneranno insieme davanti alla tenda di Oloferne, ma non lo
troveranno e così si lasceranno prendere dal terrore e fuggiranno
davanti a voi. Allora inseguiteli voi e quanti abitano
l'intero territorio d'Israele e abbatteteli nella loro fuga. Ma,
prima di far questo, chiamatemi Achior l'Ammonita, perché venga a
vedere e riconoscere colui che ha disprezzato la casa d'Israele e che
l'ha inviato qui tra noi come per votarlo alla morte". Chiamarono
subito Achior dalla casa di Ozia ed egli appena giunse e vide la testa
di Oloferne in mano ad un uomo in mezzo al popolo radunato, cadde a
terra e rimase senza fiato. Quando l'ebbero sollevato, si
gettò ai piedi di Giuditta pieno di riverenza per la sua persona e
disse: "Benedetta sei tu in tutto l'accampamento di Giuda e in
mezzo a tutti i popoli: quanti udranno il tuo nome si sentiranno scossi.
Ma ora raccontami quanto hai fatto in questi giorni".
Giuditta gli narrò in mezzo al popolo quanto aveva compiuto dal giorno
in cui era partita fino al momento in cui parlava. Quando
finì di parlare, il popolo scoppiò in alte grida di giubilo e riempì
la città di voci festose. Allora Achior, vedendo quanto
aveva fatto il Dio di Israele, credette fermamente in Dio, si fece
circoncidere e fu aggregato definitivamente alla casa d'Israele.

Quando spuntò il mattino, appesero la testa di Oloferne
alle mura; poi ogni uomo prese le sue armi e scesero lungo i sentieri
del monte divisi in manipoli. Appena li videro, gli Assiri
mandarono in cerca dei loro capi e questi corsero dagli strateghi, dai
chiliarchi e da tutti i loro ufficiali. Poi si radunarono
davanti alla tenda di Oloferne e dissero al suo attendente:
"Sveglia il nostro signore, perché quegli schiavi hanno osato
scendere per darci battaglia, a loro estrema rovina". Bagoa
entrò e bussò alle cortine della tenda, poiché pensava che egli
dormisse con Giuditta. Ma siccome nessuno rispondeva, aprì
ed entrò nella parte più interna della tenda e lo trovò cadavere,
steso a terra vicino all'ingresso, con la testa tagliata via dal tronco.
Allora diede in alte grida di dolore e di lamento, urlando
con tutte le forze e stracciandosi le vesti. Poi si
precipitò nella tenda dove era alloggiata Giuditta e non ve la trovò.
Allora corse fuori davanti al popolo e gridò: "Gli
schiavi ci hanno traditi! Una sola donna ebrea ha gettato la vergogna
sulla casa del re Nabucodònosor! Oloferne eccolo a terra e la testa non
è più sul suo busto". I comandanti dell'esercito assiro, appena udirono questo annunzio, si stracciarono i mantelli e
rimasero terribilmente sconvolti nel loro animo; risuonarono entro
l'accampamento altissime le loro grida e gli urli di dolore.
15

Tutti gli altri che erano nelle tende, appena seppero
dell'accaduto, restarono allibiti e furono presi dal panico
e nessuno volle più restare vicino al compagno, ma tutti si sparsero in
fuga in ogni senso nella pianura e su per i monti. Anche
quelli accampati sulle montagne intorno a Betulia si diedero alla fuga.
A questo punto gli Israeliti, cioè quanti tra di loro erano atti alle
armi, si buttarono su di essi. Ozia mandò subito a Betomastaim, a Bebai, a
Cobai, a Cola e in tutti i territori d'Israele
messaggeri ad annunziare l'accaduto e a invitare tutti a gettarsi sui
nemici e annientarli. Appena gli Israeliti udirono ciò,
tutti compatti piombarono su di loro e li fecero a pezzi arrivando fino
a Coba. Scesero in campo anche quelli di Gerusalemme e di tutta la zona
montuosa, perché anche a loro avevano riferito i casi successi
nell'accampamento dei loro nemici. Quelli che abitavano in Gàlaad e
nella Galilea li colpirono terribilmente aggirandoli, arrivando fino a
Damasco e al suo territorio. I cittadini rimasti in Betulia
si gettarono sul campo degli Assiri, si impadronirono delle loro spoglie
e ne trassero ingente ricchezza. Gli Israeliti tornati dalla
strage si impadronirono del resto e le borgate e i villaggi del monte e
del piano vennero in possesso di grande bottino, poiché ve n'era in
grandissima quantità. Allora il sommo sacerdote Ioakìm, e il consiglio degli
anziani degli Israeliti, che abitavano in Gerusalemme, vennero a vedere
i benefici che il Signore aveva operato per Israele e inoltre per vedere
Giuditta e porgerle il loro omaggio. Appena furono entrati
in casa sua, tutti insieme le rivolsero parole di benedizione ed
esclamarono al suo indirizzo: "Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu
magnifico vanto d'Israele, tu splendido onore della nostra gente. Tutto
questo hai compiuto con la tua mano, egregie cose hai operato per
Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii sempre benedetta
dall'onnipotente Signore". Tutto il popolo soggiunse:
"Amen!".

Tutto il popolo continuò per trenta giorni a
saccheggiare l'accampamento. A Giuditta diedero la tenda di Oloferne,
tutte le argenterie, i divani, i vasi e tutti gli arredi: essa prese
tutto in consegna e cominciò a caricarlo sulla sua mula, poi aggiogiò
i suoi carri e vi accumulò sopra la roba. Intanto si
radunarono tutte le donne d'Israele per vederla e la colmavano di elogi
e composero tra loro una danza in suo onore. Essa prese in mano dei
tirsi e li distribuì alle donne che erano con lei. Insieme
con esse si incoronò di fronde di ulivo: precedette tutto il popolo,
guidando la danza di tutte le donne, mentre ogni Israelita seguiva in
armi portando corone; risuonavano inni sulle loro labbra. Allora Giuditta intonò questo canto di riconoscenza in
mezzo a tutto Israele e tutto il popolo accompagnava a gran voce questa
lode.
16
Giuditta disse:
"Lodate il mio Dio con i timpani,
cantate al Signore con cembali,
elevate a lui l'accordo del salmo e della lode;
esaltate e invocate il suo nome.
Poiché il Signore è il Dio che stronca le guerre;
egli mi ha riportata nel suo accampamento
in mezzo al suo popolo,
mi ha salvata dalle mani dei miei persecutori.
Calò Assur dai monti, giù da settentrione,
calò con le torme dei suoi armati,
il suo numero ostruì i torrenti,
i suoi cavalli coprirono i colli.
Affermò di bruciare il mio paese,
di stroncare i miei giovani con la spada,
di schiacciare al suolo i miei lattanti,
di prender come preda i miei fanciulli,
di rapire le mie vergini.
Il Signore onnipotente li ha rintuzzati
per mano di donna!
Poiché non cadde il loro capo contro giovani forti,
né figli di titani lo percossero,
né alti giganti l'oppressero,
ma Giuditta figlia di Merari,
con la bellezza del suo volto lo fiaccò.
Essa depose la veste di vedova
per sollievo degli afflitti in Israele,
si unse con aroma il volto,
cinse del diadema i capelli,
indossò una veste di lino per sedurlo.
I suoi sandali rapirono i suoi occhi
la sua bellezza avvinse il suo cuore
e la scimitarra gli troncò il collo.
I Persiani rabbrividirono per il suo coraggio,
per la sua forza raccapricciarono i Medi.

Allora i miei poveri alzarono il grido di guerra
e quelli si spaventarono;
i miei deboli alzarono il grido
e quelli furono sconvolti;
gettarono alte grida e quelli volsero in fuga.
Come figli di donnicciuole li trafissero,
li trapassarono come disertori,
perirono sotto le schiere del mio Signore.
Innalzerò al mio Dio un canto nuovo:
Signore, grande sei tu e glorioso,
mirabile nella tua potenza e invincibile.
Ti sia sottomessa ogni tua creatura:
perché tu dicesti e tutte le cose furon fatte;
mandasti il tuo spirito e furono costruite
e nessuno può resistere alla tua voce.
I monti sulle loro basi insieme con le acque sussulteranno,
davanti a te le rocce si struggeranno come cera;
ma a coloro che ti temono
tu sarai sempre propizio.
Poca cosa è per te ogni sacrificio in soave odore,
non basta quanto è pingue per farti un olocausto;
ma chi teme il Signore è sempre grande.
Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo:
il Signore onnipotente li punirà nel giorno del giudizio,
immettendo fuoco e vermi nelle loro carni,
e piangeranno nel tormento per sempre".

Quando giunsero a Gerusalemme si prostrarono ad adorare
Dio e, appena il popolo fu purificato, offrirono i loro olocausti e le
offerte spontanee e i doni. Giuditta dedicò tutti gli
oggetti di Oloferne, che il popolo le aveva dati, e anche la cortina che
aveva presa direttamente dal letto di lui, come offerta consacrata a
Dio. Il popolo continuò a far festa in Gerusalemme vicino
al tempio per tre mesi e Giuditta rimase con loro.
Dopo quei giorni, ognuno tornò nella propria sede
ereditaria; Giuditta tornò a Betulia e dimorò nella sua proprietà e
divenne famosa in tutta la terra durante la sua vita. Molti
ne erano anche invaghiti, ma nessun uomo potè avvicinarla per tutti i
giorni della sua vita da quando suo marito Manàsse morì e fu riunito
al suo popolo. Essa andò molto avanti negli anni
protraendo la vecchiaia nella casa del marito fino a centocinque anni:
alla sua ancella preferita aveva concesso la libertà. Morì in Betulia
e la seppellirono nella grotta sepolcrale del marito Manàsse e
la casa d'Israele la pianse sette giorni. Prima di morire aveva diviso i
suoi beni tra i parenti più stretti di Manàsse suo marito e tra i
parenti più stretti della sua famiglia. Nè vi fu più
nessuno che incutesse timore agli Israeliti finché visse Giuditta e per
un lungo periodo dopo la sua morte.


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