Santi T-Z

Tarcisio - Tecla - Teodolinda - Teodora - Teodoro - Teresa d'Avila - Teresa di Calcutta - Teresa di Lisieux - Thomas Becket - Thomas Hemerford - Thomas Holland - Timoteo - Tito - Tommaso - Tommaso d'Aquino - Tommaso da Villanova - Tommaso Moro 

Ubaldo Vescovo - Uberto - UgoUrbano I Papa

Valentino - Venanzio di Camerino - Venceslao - Veronica - Vincenzo - Vincenzo dè Paoli - Vincenzo Ferreri -  Vincenzo Pallotti - Virginia Centurione  - VitoVittore

Zenone - Zita - Zosimo Papa

 

San Tarcisio

(III - IV secolo)

 

San Tarcisio era un ragazzino che frequentava le Catacombe di San Callisto, dove divenne presto un giovanissimo diacono. Negli anni di Valeriano le persecuzioni erano veramente brutali ed era diventato assai arduo il compito dei Diaconi e degli Accoliti, che dovevano portare l'Eucaristia dalle Catacombe alle carceri e agli ammalati. Erano tempi davvero duri e, un giorno, il Sacerdote della Catacomba di Tarcisio, dopo aver preparato il Pane per la distribuzione all'esterno,che era destinata a dei carcerati, lo affidò proprio a Tarcisio, sperando che per la sua giovane età passasse inosservato: d'altra parte il ragazzo era molto prudente e affidabile, nonostante la giovane età. Sfortunatamente avvenne che dei pagani si accorsero che portava i Santi Misteri. Appena si seppe questo iniziò il pestaggio: il sangue di Tarcisio cominciò a spandersi su quel luogo, mentre ormai i colpi e i calci non si contavano più. Giunse allora un erculeo ufficiale pretoriano di nome Quadrato, segretamente cristiano, che intimò a quelle canaglie di andarsene. Appena la piazza fu libera, si chinò sul morente Tarcisio e lo riportò dal Sacerdote delle catacombe. Giunto là, Tarcisio era già morto. Subito le sue spoglie furono poste nelle stesse Catacombe di San Callisto , poi un'iscrizione ricorda il loro trasporto alla chiesa di San Silvestro in Campo, molto tempo dopo.

 

Santa Tecla  

(I secolo)

 

Santa Tecla nacque nella Licaonia; e fu allevata negli studi delle lettere, e della profana filosofia. La sua conversione alla fede di Gesù Cristo avvenne in occasione della predicazione che S. Paolo teneva nella città d'Iconio Capitale della Licaonia. Ella era in quel tempo giovanetta, e già promessa sposa di un giovane ricco pagano, di una delle più rispettabili famiglie di quella città. Ma appena ebbe udito da S. Paolo i pregi inestimabili della verginità, decise di non maritarsi più; né le sollecitazioni dei genitori, né le premure dello sposo, e neanche l'autorità  del governatore della città valsero a rimuoverla dal suo proponimento. Lo sposo allora per vendicarsi, la fece accusare come cristiana, consegnandola nelle mani del giudice; il quale la condannò ad essere sbranata dalle fiere, e quindi al rogo, da cui rimase illesa per divina virtù. In fine avendo avuta la libertà, partì dalla patria e andò a trovare S. Paolo; e visse poi tutto il resto dei suoi giorni nella pratica di tutte le più sublimi virtù. Sebbene questa Santa non sia morta in mezzo ai tormenti, viene tuttavia qualificata col titolo di Martire, anzi di Protomartire tra quelle del suo sesso, e da tutti i Padri è stata sommamente lodata.   (Dal Tillemont).  

 

Santa Teodolinda

(Bavaria, ? -628)

Teodolinda, regina Longobarda. Bavara per parte di padre e discendente dal capostipite del popolo longobardo per parte di madre, scende in Italia nel 588 in quanto promessa sposa di Autari, fondatore del regno longobardo in Italia e feroce guerriero. Fu di fede cattolica tricapitolina.
Rimasta vedova, Teodolinda rimane regina e sposa il successore Agilulfo, la cui politica di conquiste territoriali interessa tutta l'Italia.
La storia di Teodolinda si intreccia con la storia di Monza, infatti elegge questa città come sede della residenza estiva della sua corte, vi fa costruire un palazzo e, secondo la tradizione, guidata dall'indicazione divina trasmessale da una colomba bianca, una cappella palatina.
L'oraculum dedicato a San Giovanni Battista diventerà un centro cattolico nel mondo longobardo ariano.
La regina intratterrà contatti diplomatici con il papa Gregorio Magno, preoccupato che i longobardi attacchino le mura di Roma ed in seguito sarà riconoscente della riuscita intercessione della regina presso Agilulfo, che ritira il suo esercito.
Alla morte del marito, Teodolinda rimane al vertice del potere accanto al figlio Adaloaldo nato proprio nel palazzo monzese e battezzato con rito cattolico.
La regina muore nel 628 e viene sepolta, accanto al marito, all'interno della chiesa da lei voluta.
Con la sua morte il periodo monzese dei longobardi finisce per sempre.   
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

Santa Teodora   

(Alessandria, n.c., - 303)

 

 

Santa Teodora alessandrina, bellissima di corpo e di anima, procurò di mantenersi tale agli occhi di Dio per mezzo della sua verginale castità. Mossa dagli infedeli una persecuzione contro i cristiani, per la sua gran costanza nella fede fu condannata ad essere condotta al luogo, dove stavano le meretrici, affinché fosse forzata a perdere l’onestà, e perdere nello stesso tempo la sua fede. Intese ciò un soldato cristiano chiamato Didimo, ed entrato in quel luogo le disse: "Non temete, o Vergine: io sono qui non come nemico, ma come fratello: scambiamoci gli abiti; voi prenderete il mio di soldato, ed io prenderò il vostro di donzella, e qui resterò; ed in tal modo sarà salvo il vostro pudore". Così dissero, e così fecero. Didimo poi, per questa sua azione, e per essersi dichiarato cristiano, fu condannato a morte; ma S. Teodora subito si portò al luogo del suo supplizio dove, con una santa gara querelandosi, disse di dovere essa morire, e non Didimo, perché essa era stata causa della condanna di lui. Furono perciò ambedue secondo i loro desideri decapitati; ed ebbero ambedue in cielo la palma del martirio.  (Da S. Ambrogio).  

 

San Teodoro Martire

(IV secolo)

 

San Teodoro era di professione militare; ma militando negli eserciti dei Re della terra, si gloriava molto più di essere soldato del Cielo. Avendo in tal modo occupato lo spirito e il cuore nelle cose celesti, ascoltò senza alcun timore la notizia della persecuzione, che gli Imperatori Massimiano Galerio, e Massimiano Daja rinnovarono nell’Oriente contro i cristiani. Egli benchè coraggioso si dimostrasse, tutto però temeva dalla sua propria debolezza; ma riponeva la sua confidenza in Dio, e gli domandava la forza necessaria per vincere  e superare i nemici del suo Nome. Tali era­no le disposizioni di Teodoro, quando gli fu ordi­nato di sacrificare agli Dei dell' Impero. Dichiarò allora altamente che egli era cristiano, e che nulla poteva attentare contro la sua Religione. Il giudi­ce lo minacciò dei più crudeli tormenti; ma veden­dolo inflessibile, cercò di guadagnarlo con le pro­messe. Teodoro non fu meno insensibile alle pro­messe, che alle minacce; e trovato dal giudice costante nelle sue risoluzioni, fu condannato alle fiamme; e così consumò il suo sacrificio, lodando e benedicendo il Signore.   (Da San Gregorio Nisseno). 

 

Santa Teresa d'Avila

(Avila, Spagna, 1515 - Salamanca, 1592)

 

Santa Teresa nacque in Avila Città della Spagna, e ancor fanciulla si dilettava di leggere ogni giorno le vite dei Santi ed in particolare le storie dei SS. Martiri; onde concepì un vivo desiderio di spargere il sangue per Gesù Cristo. Quello che soprattutto faceva grande impressione nel suo animo, era il pensiero dell'eternità; onde gustava di ripetere spesso: "sempre, sempre, sempre". Di anni 21 si fece religiosa Carmelitana, e per impulso particolare di Dio, confermato dall'approvazione di Papa Pio IV, riformò l'antica ed austera regola dei Carmelitani, proponendone l'osservanza, prima alle donne, e poi agli uomini. Con l'esercizio dell'orazione e della mortificazione rimase l'anima sua infiammata di un così grande amor di Dio, che meritò di vedere un Angelo che con un dardo infuocato le trapassava il cuore. Desiderosa di patire, abbracciava ogni sorta di mortificazione, ed era solita ripetere queste parole: "o patire, o morire". All’età di 67 anni, consumata dalla forza del divino amore rese sotto forma di colomba la sua purissima anima al Signore, avendo più volte predetto il giorno preciso della sua morte. (Dalla sua biografia).

 

Beata Teresa di Calcutta

(Skopje, 27 agosto 1910 - Calcutta, 5 settembre 1997)

 

Madre Teresa di Calcutta, religiosa cattolica albanese, fondatrice dell'ordine religioso delle Missionarie della Carità, era la minore dei cinque figli di Nikola e Drane Bojaxhiu, e fu battezzata con i nomi di Gonxha Agnes. All'età di otto anni perse il padre e la famiglia dovette soffrire di gravi difficoltà finanziarie. Nel settembre 1928 partì per l'Irlanda, dove entrò nell’Istituto della Beata Vergine Maria, noto anche col nome di “Suore di Loreto”, ed assunse il nome di suor Mary Teresa, ispiratole da quello di Santa Teresa di Lisieux.
Nel dicembre dello stesso anno partì per l’India, sbarcando a Calcutta il 6 gennaio 1929. Nel maggio del 1931 fece la professione dei voti temporanei e venne inviata presso la comunità di Loreto a Entally, dove insegnò nella scuola per ragazze St. Mary. Il 24 maggio 1937 fece la Professione dei voti perpetui e da quel momento venne definitivamente chiamata Madre Teresa. Nei venti anni che trascorse a St. Mary svolse attività di insegnante e si distinse per le sue innate capacità organizzative, tanto che nel 1944 fu nominata direttrice della scuola.
Il 10 settembre 1946 fu il giorno in cui, come ella stessa raccontò, prese la decisione di lasciare la scuola e di fondare una comunità religiosa che si occupasse dell'assistenza dei poveri. Dovettero passare altri due anni prima che Madre Teresa potesse fondare la comunità delle Missionarie della Carità (17 agosto 1948). Scelse come veste per sè e per le consorelle, fra cui molte sue ex allieve che si univano a lei in numero sempre crescente, il caratteristico sari bianco bordato di azzurro. Era sua costante abitudine recarsi nei sobborghi più poveri di Calcutta per visitare le famiglie ed assistere gli ammalati.
Il 7 ottobre 1950 l'Arcidiocesi di Calcutta riconosceva ufficialmente la nuova Congregazione delle Missionarie della Carità che, a partire dagli anni '60 cominciò ad operare anche in altre città dell'India. Nel febbraio del 1965 Papa Paolo VI concesse alla congregazione il Diritto Pontificio, e ciò la convinse ad aprire una casa anche in Venezuela, a cui se ne aggiunsero presto altre a Roma, in Tanzania e via via in altri paesi di tutti i continenti. Negli anni compresi fra il 1980 ed il 1990, Madre Teresa aprì altre case di missione anche nei paesi comunisti, compresi l'ex Unione Sovietica, l’Albania e Cuba.
Madre Teresa riceve da Ronald Reagan la Medal of Freedom alla Casa Bianca. Madre Teresa fondò, in periodi diversi, altre congregazioni, fra cui i Fratelli Missionari della Carità, nel 1963, ed i Padri Missionari della Carità, nel 1984, a cui aderirono anche persone di altre confessioni religiose. L'intensa attività svolta cominciò ad attirare sempre più l'attenzione dei mezzi di informazione e numerose onorificenze le furono concesse come, ad esempio, il premio indiano en:Padma Shri nel 1962 ed il Premio Nobel per la Pace nel 1979. Nel 1997 le suore di Madre Teresa erano arrivate al numero di 4.000, suddivise nelle 610 case di missione presenti in ben 123 paesi. Nel marzo 1997 incontrò Papa Giovanni Paolo II per l’ultima volta, prima di rientrare a Calcutta, dove morì il 5 settembre 1997.
A soli due anni dalla morte, Papa Giovanni Paolo II consentì che si aprisse la causa di canonizzazione. È stata beatificata il 19 ottobre 2003.   
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

Santa Teresa di Lisieux

(Alençon, 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897)

 

Thérèse Martin nacque ultimogenita di Louis Martin e Zelie Guerin i quali prima di sposarsi avevano entrambi tentato di abbracciare la vita monastica. La loro vocazione per una vita monastica era comunque genuina visto che inizialmente si proposero un matrimonio "giosefita", cioè un'unione non consumata per tutta la vita, sul modello del matrimonio di Maria e Giuseppe, ma un loro confessore comunque venendo a conoscenza di questo loro accordo li dissuase a perseguirlo ulteriormente, così ebbero nove figli, di cui quattro morti in tenera età: Elena Maria (1864-1870), Giuseppe-Luigi Maria (1866-1867), Giuseppe-Giovan-Battista Maria (1867-1868), Melania-Teresa Maria (16 agosto 1870- 8 ottobre 1870). Tutti i figli ebbero come nome anche Maria che la dice lunga sul culto di questa famiglia per colei che è la donna più importante all'interno della comunità religiosa cattolica. Le rimanenti cinque figlie realizzarono tutte l'antico desiderio di una vita monastica dei genitori, ma sarà l'ultimogenita Thérèse, a lasciare una traccia indelebile nella storia del misticismo di tradizione cristiana. Dopo due mesi dalla nascita Thérese venne data in affido presso una balia a Semallè e trascorse il suo primo anno di vita in campagna, tornando ad Alençon nell'aprile 1874. La madre morì quando Thérèse aveva solo quattro anni e mezzo creando in lei un vuoto affettivo enorme. È da questa mancanza della presenza concreta dell'affetto della madre che prese le mosse il suo lungo percorso, anche se breve nel tempo.
Le due sorelle maggiori, Pauline prima e Marie dopo, sostituirono inizialmente la madre ma presto una dopo l'altra si fecero monache carmelitane chiudendosi per sempre in monastero. La crisi innescata dalla morte della madre si acuì sempre di più e Thérèse giunse a somatizzare anche gravemente il suo stato psichico. Inaspettatamente la nevrosi si risolvette da sola nella notte di Natale 1886, evento che lei definisce come la sua conversione. Questa data rimarrà per sempre impressa nella mente di Thérèse a significare un vero giro di boa della sua dinamica esistenziale. Dopo questa trasformazione Thérèse infatti non si riconobbe più e da qui ha inizio la sua "corsa da gigante" (Manoscritto A).
Decise quindi seguendo l'esempio di Teresa d'Avila, di mettersi sulle tracce di Gesù di Nazareth, diventando anch'essa monaca, ma essendo minorenne non poteva ancora essere accettata nel monastero di Lisieux.
Fu così che un anno dopo nel novembre 1887 insieme all'anziano padre Louis e alla sorella prediletta Celine attraversò tutta l'Italia diretta a Roma per rivolgere infine questa sua richiesta direttamente a papa Leone XIII.
Nel 1870 lo Stato Pontificio era stato conquistato dal Regno d'Italia e ridotto al territorio del Vaticano. Da questo affronto subito il papato non si era ancora risollevato e Leone XIII similmente al suo predecessore si considerava ufficialmente ancora prigioniero in Vaticano. Oltre a ciò questo pontificato doveva far fronte ai cambiamenti sociali dovuti alla rivoluzione industriale, Leone XIII era particolarmente impegnato in quel periodo a trovare una soluzione alle novità sociali: le lotte del moderno proletariato industriale deciso a rivendicare una vita più dignitosa e nel caso anche la gestione del potere al posto della borghesia. Si trattava della questione sociale che incalzava e a cui Leone XIII era chiamato, primo papa, a elaborare un indirizzo chiaro che costituisse un orientamento in proposito per tutti i cattolici del mondo.
Thèrèse si inginocchiò davanti a Leone XIII chiedendogli ordinare la sua accettazione anche se minorenne al monastero di Lisieux. Leone XIII non diede l'ordine auspicato dalla bambina, le disse però sostanzialmente che se la sua entrata in monastero era scritta nel destino questo ordine l'avrebbe dato Dio stesso, la Divina Provvidenza, che comandava più di lui.
Leone XIII e la bambina non si capirono bene anche perché sembrerebbe che il Santo Padre stentava a capire il francese di Thérèse sì che Thérèse rimpianse di non conoscere l'italiano. Sentendosi impotente, la monaca in erba si mise infine a piangere ma due aitanti guardie svizzere la presero per le braccia e la allontanarono dal Papa.
Infine Thérèse riuscì ad ottenere il permesso di diventare carmelitana malgrado la sua giovane età. Abbandonò la famiglia e il mondo nell'aprile 1888 per ritrovarlo in una sua variante all'interno del monastero, una riprova che dal mondo non si può proprio fuggire e Thérèse scrivette a proposito del suo desiderio di un monastero con lei sola come unico abitante. Qui dovette esercitarsi alla convivenza talvolta difficile con le altre monache ma anche a contenere la sua affettività in modo che il suo amare diventò veramente disinteressato. In una realtà ancora permeata dalle stagioni di spiritualità giansenista ebbe tuttavia modo di conoscere la fondatrice del carmelo di Lisieux, Madre Genoveffa al secolo Claire Bertrand. Questa anziana monaca che raccontò a Teresa come da bambina veniva presa in giro dalle altre bambine che la dicevano "innamorata del prete" mentre lei amava Gesù, fu un vero conforto per Teresa e un modello di monaca in carne ed ossa ed è anche a questa figura che è stata così significativa per lei, che si ispirò nell'elaborare la sua visione teologica. É lei infatti che l'esortò a coltivare il valore della "pace" a cui naturalmente Teresa già aspirava per sua indole. E attorno a questo tema Teresa ricamò il suo pensiero teologico. «Serva Dio con pace e con gioia, si ricordi, figlia mia, che il nostro Dio è il Dio della pace.» (Ms A f.78r) Così le disse colei che per Teresa rappresentò, come scrisse, il suo modello di santità che tanto cercava, un modello più confacente alla sua natura.
É quindi a partire da quell'evento del natale 1886 che si fece chiaro in Thérèse la sua vocazione di carmelitana ma ancor più una vocazione ancora più profonda che anche in seguito niente e nessuno poté scalfire: né i dubbi sulla sua vocazione di carmelitana, avuti proprio alla vigilia della sua professione né, fatto ancora più grave, i dubbi sulla sua stessa fede in Dio manifestatisi simultaneamente a quella tubercolosi che la condusse inesorabilmente alla morte. Questi dubbi come traspare da quel poco che ne ha scritto sono da relazionarsi anche a quel clima di positivismo e scientismo di fine secolo e dal quale nemmeno le mura di un monastero potevano proteggere sì che per Thérèse si trasformavano in quella voce suadente che predicava il nulla. É invece proprio in questa situazione di dubbio che si attivò come non mai la vera vocazione di Thérèse. Questa vocazione più profonda è il suo essersi sentita chiamata dall'amore che l'indusse alla ricerca della scienza d'amore come ribadisce lei stessa nel citare la sua amica Marguerite-Marie Alacoque in quel «poema di settembre» che è il manoscritto B.
Questa fede più profonda non venne mai meno come non venne mai meno il suo impegno in essa. A questo punto del suo percorso evolutivo avvenne un fatto inaspettato ma decisivo: l'ordine di scrivere la sua autobiografia impartitole dalla superiora del monastero nel 1895. Ha così modo di mettere in scritto la sua ricerca spirituale dell'amore e di farsi conoscere.
Morì due anni più tardi e questi suoi scritti autobiografici sotto il titolo di Storia di un'anima faranno appunto il giro del mondo inducendo alla riflessione coloro che la capiscono e che la capiscono perché la sentono.
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

 

San Thomas Becket

(Londra, 21 dicembre 1118 - Canterbury, 29 dicembre 1170)

 

San Thomas Becket, poi Thomas à Becket,  è stato un importante personaggio della storia dell'Inghilterra.
Fu arcivescovo di Canterbury dal 1162 fino alla morte.
Entrato in conflitto con re Enrico II d'Inghilterra circa i diritti e i privilegi da riconoscere alla chiesa cattolica romana, fu assassinato dai seguaci del sovrano all'interno della sua cattedrale.
La particella à riferita al suo nome, gli fu assegnata molti anni dopo la sua morte, in riferimento alla figura di santità e all'opera di Thomas à Kempis (1379-1471), autore de L'imitazione di Cristo.
Nativo di Londra, apparteneva alla classe agiata e la sua famiglia era originaria di un paese vicino a Rouen, in Francia. Ricevette una eccellente educazione che completò all'Università di Parigi.
Ritornato in Inghilterra fu attratto dalla personalità di Teobaldo di Bec, arcivescovo di Canterbury, che gli affidò importanti missioni diplomatiche a Roma, nominandolo nel contempo arcidiacono di Canterbury e prevosto di Beverley.
Becket poté così distinguersi per zelo ed efficienza, tanto che Teobaldo lo raccomandò al re Enrico II - lo stesso che lo avrebbe fatto poi assassinare - quando la carica di Lord Cancelliere si era resa vacante.
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

 

Beato Thomas Hemerford

(Dorset, 1554 - Marshalsea, 12 febbraio 1584)

 


Thomas Hemerford , beato, martire in Inghilterra. Nato nel 1554 nella contea del Dorset, fece gli studi ad Oxford, dove divenne baccelliere in diritto civile. Addolorato per il diffondersi dell'eresia nel suo paese, partì per Reims e poi per Roma, dove fu ammesso nel Collegio inglese.
Il diario dell'istituto lo descrive: « ... di bassa statura, con barba oscura, aspetto severo, ma di dolci disposizioni e molto piacevole ed esemplare nelle conversazioni ». Ordinato sacerdote nel 1583, fece ritorno in patria, dove quasi subito fu arrestato dietro segnalazione di un eretico che, visto l'Hemerford mentre attendeva gli venisse ferrato il cavallo, ne aveva sospettato lo stato sacerdotale. Nelle prigioni di Marshalsea ebbe un duro trattamento. Insieme con i beati Haydoch e Nutter, essendo stato rinchiuso nella fossa della torre dove non giungevano né luce, né sollievo alcuno. Condannato a morte il 7 febbraio 1584, fu giustiziato il 12 dello stesso mese al Tyburn. Beatificato da Pio XI nel 1929. (Dall'
Enciclopedia Cattolica)

 

Beato Thomas Holland

(Sutton, 1600 - Tyburn, 12 dicembre 1642)

 

Thomas Holland, beato, martire in Inghilterra. Nato nel 1600 a Sutton (Lancaster), dopo aver studiato al collegio di S. Omer, entrò nella Compagnia di Gesù. Fece il noviziato a Watten, nel Belgio, e frequentò gli studi di teologia a Liegi, da dove, ordinato sacerdote, fu inviato subito come direttore spirituale del collegio di S. Omer. La sua pietà e la sua cultura ascetica gli avevano meritato il titolo di Bibliotheca Pietatis.
Per la salute debolissima, fu mandato dai superiori in Inghilterra, dove giunse nel 1635. Non ne ricavò alcun miglioramento, anzi, i suoi disturbi si aggravarono sia per una ostinata inappetenza, sia per il fatto che doveva esercitare il suo ministero soprattutto di notte. Riuscì tuttavia a resistere per sette anni, esercitando un continuo apostolato attraverso peripezie di ogni genere. Dedicava tutto il tempo libero alla preghiera e ciò spiega come chi lo avvicinava avvertisse subito un'atmosfera soprannaturale.
Sospettato come sacerdote, sebbene senza prove, fu condotto in carcere a Newgate, il 4 ottobre 1642. Fu molto abile nel difendersi durante il processo e nessuna prova fu raccolta contro di lui, ma fu ugualmente condannato a morte il 10 dicembre. Alla condanna rispose con gioia: Dea Gratias!, e, giunto in carcere, volle cantare il Te Deum. Per due giorni la prigione fu assiepata di visitatori a cui egli rivolgeva parole piene di fede e di elevata spiritualità. Non volle che l'ambasciatore francese chiedesse per lui la grazia della liberazione, come si legge in una lettera da lui scritta ai superiori.
La mattina del 12 dicembre poté celebrare la Messa in carcere e poi fu condotto al patibolo del Tyburn. Qui manifestò pubblicamente la sua qualifica di sacerdote e di gesuita, fece atti di fede e di contrizione, offri a Dio la sua vita, perdonò tutti, diede poi al carnefice il poco denaro che possedeva, ricevette l'assoluzione da un confratello nascosto tra la folla. Fu impiccato mentre teneva le mani giunte. Aveva quarantotto anni, dei quali diciannove vissuti nella Compagnia di Gesù. Fu beatificato da Pio XI nel 1929. (Dall'
Enciclopedia Cattolica)

 

San Timoteo

(Listri, ? - Efeso, 9 febbraio 97)

 


S. Timoteo nato a Listri, in Licaonia, da padre Gentile e da madre Giudea,  praticava già la religione cristiana quando san Paolo venne in quelle regioni. Questi, colpito dalla fama che spargeva la santità di Timoteo, lo prese come compagno dei suoi viaggi. Cooperò con tanto spirito alla sua vocazione, che meritò d'essere più volte lodato dallo stesso Santo Apostolo, come vero servo ili Gesù, e come fedele dispensatore dei tesori della Divina Grazia, ma, a causa dei Giudei convertiti, i quali sapevano come il padre di Timoteo fosse pagano, lo fece circoncidere. Giunti entrambi ad Efeso, l'Apostolo lo ordinò Vescovo, perché governasse quella Chiesa. Vedendosi sollevato a dignità così grande nella nascente Chiesa di Cristo, cominciò a vivere con tanto rigore e con si grande astinenza, che S. Paolo l'avvisò a desistere dal bere continuamente acqua, persuadendolo a servirsi di un poco di vino. Paolo gli scrisse due Epistole, una da Laodicea e l'altra Roma, per dirigerlo nell'esercizio del suo compito pastorale. Era sollecito in procurar la salute delle anime alla sua cura commesse e con frequenti prediche ed esortazioni le animava alla virtù. Timoteo non poteva sopportare che si offrisse agli idoli il sacrificio che è dovuto a Dio solo. Un giorno che gli abitanti di Efeso immolavano vittime a Diana in una delle sue feste, cercò di stornarli da quella empietà, ma essi lo lapidarono. I cristiani lo raccolsero quasi morto, e lo portarono su una montagna vicina alla città, dove spirò nel Signore il nove delle calende di febbraio. (Dal Tillemont).

 

San Tito

( I sec.)

 


S. Tito discepolo del grande Apostolo S. Paolo, e suo fedele compagno nella predicazione del Vangelo, fu gentile di nascita, e si crede, che fosse convertito alla fede di Gesù Cristo per opera del medesimo Apostolo, il quale perciò lo chiama suo figliuolo diletto. Lo zelo, che egli mostrò per la salute delle anime, e per la dilatazione della Religione Cristiana, unico oggetto delle immense fatiche di S. Paolo, lo resero sempre più accetto al S. Apostolo; il quale se ne servi in varie occasioni importantissime, nelle quali riuscì cosi felicemente, che si meritò i più magnifici e teneri elogi del suo gran maestro. Ordinato Vescovo , fu da S. Paolo lasciato nell'isola di Candia per convertire quei popoli, i quali diedero ampia occasione a S. Tito di esercitare il suo zelo, la sua carità, e la sua pazienza. Ricevé una lettera dal suo maestro piena di, eccellenti ìstruzioni delle quali egli profittando, anche dopo, la morte di S. Paolo proseguì la sua carriera perseverando sino al fine dei suoi giorni nell'apostolico ministero, e nell'imitazione delle sublimi virtù, che aveva ammirate nel grande Apostolo delle Genti. (Dal Tillemont).

San Tommaso

(I secolo)

 

 

San Tommaso era della Galilea, e come gli altri Apostoli pescatore di professione. Egli accompagnò fedelmente il Divin Salvatore in tutti i viaggi elle questi faceva; e mostrò, particolarmente il suo coraggio nel seguire Gesù Cristo, allorché vedendo che gli Apostoli temevano di andare col Redentore in Betania, a causa dei Farisei e degli Scribi che cercavano di dar la morte a Gesù Cristo, disse loro fiduciosamente: Andiamo anche noi, e moriamo  insieme a Lui. Però nel tempo della passione del Signore fu San Tommaso soggetto anche egli alla stessa debolezza degli altri Apostoli, prendendo la fuga insieme con essi; e restò talmente costernato per la morte dei suo divino Maestro, che non volle in nessun modo  credere che Egli fosse resuscitato. Ma Gesù Cristo per guarire il Santo Apostolo da quella incredulità, gli  fece mettere la mano nel suo costato, e gli disse: “Tommaso tu hai credulo perché hai veduto: beati quelli che crederanno in me senza aver visto”. San Tommaso, ricevuto che ebbe insieme con gli altri Apostoli lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, andò a predicare, la fede di Gesù Cristo ai Parti, ai Medi, e ad altri popoli barbari; e coronò il suo Apostolato con un glorioso martirio.

 

San Tommaso d'Aquino

(Roccasecca, 1220 - Fossanova, 1274)

 

San Tommaso d’Aquino della nobile stirpe dei Conti di Aquino, fu detto l'Angelico Dottore per la sua rara bontà, accompagnata da una intatta verginità ed ammirabile dottrina. Fece fin da giovanetto mirabili progressi nelle scienze, e maggiori ne fece nella pietà e nella vita cristiana. All’età di 16 anni si fece Religioso dell'Ordine di S. Domenico; ma i suoi fratelli sdegnati per tale decisione, fecero il possibile per dissuaderlo dal suo proposito. Egli però resistette a tutti i loro inganni; e con un tizzone infuocato scacciò da sé un' impudica femmina, che osò di tendere insidie alla sua castità. Impiegò tutto il suo sapere scrivendo profonde dottrine teologiche, in particolare sul SS. sacramento dell'Altare. I servigi per ogni conto riguardevoli da lui resi alla S. Chiesa mossero i Sommi Pontefici ad offrirgli onori, e dignità Ecclesiastiche; ma lui, che era umilissimo, rinunciò a tutto, stimandosi contento dello stato a cui l'aveva Iddio destinato. Era tutto dedito all'orazione, solito a premetterla sempre ai suoi studi: ed ebbe, a dire una volta a Fra Reginaldo suo compagno, che riconosceva il suo sapere più dall'orazione, che dallo studio. Morì questo gran Dottore della Chiesa nel suo 50° anno d’età. (Dal P. Tournon).

 

San Tommaso da Villanova

(Fuenllana, Ciudad Real, 1488 circa - Valencia, 8 settembre 1555)

 

San Tommaso di Villanova, in spagnolo Tomás García Martínez de Villanueva, fu un religioso spagnolo degli Eremitani di Sant'Agostino divenuto in seguito arcivescovo di Valencia. Asceta e abile predicatore, è anche venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
Figlio di un mugnaio, crebbe nella città di Villanueva de los Infantes: studiò presso l'Università di Alcalá de Henares, dove dopo la laurea divenne anche professore di Filosofia (1514).
Nel 1516 prese la decisione di entrare tra gli agostiniani di Salamanca: emise i voti perpetui nel 1518 e fu ordinato sacerdote; fu Superiore di vari conventi, poi Priore Provinciale per l'Andalusia e la Castiglia: fu il primo ad inviare dei missionari agostiniani nelle Americhe.
Fu scelto da Carlo I come suo consigliere spirituale e confessore personale: l'imperatore lo stimava a tal punto da offrirgli l'arcivescovado di Granada, ma Tommaso di Villanova rifiutò per umiltà; nel 1544, sollecitato anche dal papa, venne eletto arcivescovo di Valencia, pur continuando a occuparsi del suo Ordine.  Morì nel 1555 a causa di una angina pectoris.
È stato beatificato il 7 ottobre 1618 da papa Paolo V: papa Alessandro VII lo ha proclamato santo il 1° novembre 1658. 
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

 

San Tommaso Moro

(7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535)

 

Tommaso Moro è il nome italianizzato con cui è ricordato Thomas More, avvocato, scrittore e uomo politico inglese, santo della Chiesa cattolica e anglicana. Nel corso della sua vita si guadagnò fama a livello europeo come autore umanista e occupò numerose cariche pubbliche, compresa quella di Lord Cancelliere d'Inghilterra tra il 1529 e il 1532 sotto Re Enrico VIII.
More ha coniato il termine "utopia", con cui battezzò un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, "L'Utopia", pubblicata nel 1516; Moro ha fatto derivare il termine "utopia" dal greco antico, e significa, letteralmente "luogo inesistente", oppure "luogo bellissimo".
È ricordato soprattutto per il suo rifiuto a livello di principio della rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica e lo condusse alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Moro venne canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 da Papa Pio XI ed è commemorato il giorno 22 giugno; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. 
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Sant'Ubaldo Vescovo

(Gubbio, 1084 ca. - 16 maggio 1160) 

 


S. Ubaldo nacque in Gubbio, ed avendo nell'infanzia perduto i genitori, fu educato da un zio; il quale vedendo la sua inclinazione allo studio, lo collocò fra i Canonici dei SS. Mariano e Giacomo, ove Ubaldo fece gran profitto nelle lettere, e maggiore nella scienza della salute. Eletto poi Priore della suddetta Chiesa dei SS. Mariano e Giacomo, con l'aiuto di Dio vi fece rifiorire la disciplina e la virtù, ma a costo di fatiche, di dispiaceri, strapazzi, e pazienza indicibile. Accettato per obbedienza il Vescovado di Gubbio, si mostrò indefesso nelle fatiche del suo ministero Pastorale, vegliando continuamente sul suo gregge. Oltre tutte le altre virtù, fece risplendere la sua gran pazienza; poiché strapazzato, ed anche con pericolo della vita, egli non solo perdonava, ma si faceva difensore di chi lo aveva offeso. Si cattivò per tante rare prerogative l'amore del suo gregge, per la salute del quale si mostrò pronto ad incontrare qualunque pericolo; ond'è che amaramente fu pianta la perdila di questo buon Padre , allorché dopo averlo Iddio ben provato, e reso puro con una grave e lunga infermità, lo chiamò all'eterna beatitudine in Cielo.     (Dai Bollandisti).

 

Sant'Uberto 

(Liegi, 656 - Fura, 30 maggio 727)  

 

Sant'Uberto di Liegi fu un santo appartenente alla dinastia dei Merovingi: fu vescovo di Maastricht e primo vescovo di Liegi. È anche detto l'apostolo delle Ardenne.
Primogenito del duca Bertrando di Aquitania e nipote di re Cariberto II, nacque probabilmente a Tolosa attorno al 656 e crebbe a Metz, come conte palatino presso la corte di re Teodorico III di Neustria; con l'avvento al potere da parte di Ebroino si trasferì in Austrasia, dove venne accolto benevolmente da Pipino di Herstal, e nel 692 sposò la figlia del conte di Lovanio da cui ebbe un figlio, Floriberto.
Secondo una tradizione, ispirata alla leggenda di sant'Eustachio, un Venerdì Santo, durante una battuta di caccia, ricevette la visione del Crocifisso che gli apparve tra le corna di un cervo e lo invitò ad abbandonare la sua vita dissoluta e a convertirsi: questo episodio è alla base dell'iconografia del santo.
Rimasto vedovo si pose sotto la direzione spirituale di san Lamberto di Maastricht, rinunciando ai suoi beni e ai suoi titoli in favore di suo fratello minore Oddone, al quale affidò anche la cura del figlio Floriberto.
Studiò teologia e venne ordinato sacerdote, divenendo il principale assistente di Lamberto al quale nel 706 succedette come vescovo di Maastricht: divenne un eccellente predicatore e si dedicò all'evangelizzazione delle zone orientali del Belgio (Brabante, Ardenne) e fondò la diocesi di Liegi, di cui divenne il primo vescovo; nella cattedrale che fece costruire nella sua nuova sede episcopale fece anche traslare il corpo di san Lamberto. Alla sua morte venne sepolto nella chiesa di san Pietro a Liegi, ma nell'825 le sue reliquie vennero traslate nell'abbazia di Andage, nelle Ardenne.
Festa il 3 novembre (memoria della traslazione delle reliquie).  
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Sant' Ugo 

(Semur, Francia, 1024 - Cluny, 1109)

 

 

Sant' Ugo, nato presso Valenza nel delfinato, fin dall’infanzia mostrò una meravigliosa inclinazione alla virtù ed allo studio. Ottenne un canonicato nella Cattedrale di Valenza, ove menando vita da vero Ecclesiastico, aveva intenzione di passare il resto dei suoi giorni.  Ma Iddio altrove lo destinò; poiché, conosciutolo il Legato del Sommo Pontefice, lo volle con sé per valersi di lui negli affari della Legazione. Trovandosi con il medesimo Legato ad un Concilio in Avignone, fu richiesto dal Clero e popolo di Grenoble come Vescovo, e fu costretto ad accettare. Giovò alla sua Diocesi con l'esempio, e con le sante istruzioni. Tutte le qualità di buon Pastore spiccavano in lui mirabilmente; per cui fece rifiorire nella sua Chiesa la pietà, e la disciplina. Permise Iddio, che fosse travagliato da gravi infermità, e quello che più lo tormentò, da terribili diaboliche tentazioni. Egli però umiliandosi sotto la potente mano di Dio, adorò i suoi giusti giudizi, sopportando con pazienza i mali del corpo, ed opponendo agli artifici dei demonio l'orazione, l'austerità, la vigilanza, e la custodia dei sensi; Onde meritò dopo una lunga vita l'eterno riposo promesso ai giusti e fedeli servi di Dio. (Da Guido Certosino).  

Sant'Urbano I Papa 

(Roma, ? - 230) 

 

 

 

Sant'Urbano I, papa dal 222 al 230. Venne preceduto da Callisto I e succeduto da Ponziano. Viene menzionato da Eusebio nella sua Storia ed è nominato in una iscrizione nel Coemeterium Callisti, ma non si sa nulla della sua vita. Il Breviario della Chiesa cattolica (25 maggio) parla delle sue numerose conversioni, tra cui troviamo Valeriano, marito di santa Cecilia, e di suo fratello Tiberio, e ci dice che soffrì il martirio e venne sepolto nel Coemetarium Praetextati. È venerato come santo dalla Chiesa che ne celebra la memoria liturgica il 19 maggio.
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San Valentino

(Terni, 175 - Roma, 14 febbraio 273)

 

 

Protagonista di storie lontane, che sfumano in leggenda, la sua fama ha superato gli oceani, scavalcato le montagne, traversato i continenti. In Giappone e negli Stati Uniti, in America Latina come in Asia e in Oceania, Valentino è il santo dell'Amore. Pochi però conoscono la vera storia del vescovo e martire di cui Terni conserva le spoglie mortali. Valentino dedicò la sua vita alla comunità cristiana che si era formata nella città a cento chilometri da Roma, dove infuriava la persecuzione nei confronti dei seguaci di Gesù. L'eco degli eclatanti miracoli compiuti dal Santo, come ad esempio la guarigione del giovane Cheromone figlio del celebre retore Cratone, arrivò fino a Roma e si diffuse presto in tutto l’Impero, tanto che il Papa San Feliciano, nel 197  lo consacrò primo vescovo della città di Terni, che ancora oggi ne conserva le spoglie mortali.
Perseguitato dal Senato romano, nel 273  il vescovo Valentino, famoso per aver unito in matrimonio un pagano ed una cristiana, fu invitato dall'imperatore pazzo Claudio II  che tentò di persuaderlo a convertirsi nuovamente al paganesimo. San Valentino, con dignità, rifiutò di rinunciare alla sua Fede e, imprudentemente, tentò di convertire a sua volta Claudio II al Cristianesimo. Il 14 febbraio 273 San Valentino fu lapidato e poi decapitato. Venne sepolto lungo la Via Flaminia a circa due miglia da Roma; la sua tomba fu scoperta durante gli scavi archeologici effettuati nei primi anni del 1900. La storia sostiene, inoltre, che mentre Valentino era in prigione in attesa dell'esecuzione si fosse incontrato con la figlia cieca del guardiano, Asterius, e che con la sua fede avesse ridato miracolosamente la vista alla fanciulla. Ma è per aver celebrato il matrimonio tra una giovane cristiana ed un legionario pagano che divenne il protettore degli innamorati.
Un giorno San Valentino, sentendo litigare due giovani fidanzati che stavano passando di là della siepe del suo giardino, andò loro incontro tenendo in mano una splendida rosa. Si rivolse ai due ragazzi con un gesto pieno d’amore, donò loro la rosa e gli sussurrò parole di riconciliazione. Il volto sorridente del buon Valentino e quel fiore ebbero il magico potere di far terminare la lite tra i due giovani innamorati. Il Santo volle poi che i due fidanzati stringessero insieme con cautela il gambo della rosa, facendo attenzione a non farsi pungere dalle spine e pregando affinché il loro amore restasse eterno. I giovani dopo un po’ di tempo tornarono da lui per suggellare la loro felice unione e ricevere la benedizione per il matrimonio. Quando la popolazione venne a conoscenza del fatto, ebbe inizio una lunga processione al cospetto di San Valentino per invocare il suo patrocinio sulle future famiglie.Il 14 di ogni mese diventò così il giorno dedicato alle benedizioni, ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché in quel giorno San Valentino andò a celebrare le sue nozze in Paradiso. Ogni anno, nella basilica dedicata a san Valentino, centinaia di futuri sposi, danno vita a questa cerimonia, scambiandosi una promessa d'amore. 
 

San Venanzio

(Camerino, ? - 18 maggio 251) 

 

San Venanzio (Camerino, metà del III secolo - 18 maggio 251) è un santo martire italiano.
Egli apparteneva ad una nobile famiglia della classe dirigente senatoria romana di Camerino. Convertitosi al Cristianesimo, andò a vivere presso il suo maestro, il prete Porfirio.
Ricercato dalle autorità e minacciato di tormenti se non fosse tornato al culto degli dei pagani, in esecuzione degli editti dell'imperatore Decio, Venanzio, quindicenne, si rifiuta e quindi viene sottoposto a flagellazioni, pene di fumo, fuoco, cavalletto; ne esce incolume, suscitando conversioni fra gli stessi persecutori.
Imprigionato ed ancora torturato con carboni accesi sul capo, gli vengono spezzati i denti e mandibola, ed è gettato in un letamaio; Venanzio resiste ancora, allora viene dato in pasto a leoni affamati, ma questi si accucciano ai suoi piedi. Ancora incarcerato, il prefetto della città lo fa gettare dalle mura, ma lo ritrovano salvo, mentre canta le lodi a Dio. Viene legato e trascinato attraverso le sterpaglie della campagna e anche in questa occasione opera un prodigio, facendo sgorgare una sorgente da uno scoglio per dissetare i soldati, operando così altre conversioni.
Alla fine, il 18 maggio 251, viene decapitato, mettendo così fine a questa galleria di orrori, cui è difficile credere, perché i Romani dominavano sì con la forza ma suscitando anche cultura, arte, diritto, civiltà. Questa passio, riportata negli Acta Sanctorum già nel XI secolo, ci parla anche della fuga di san Venanzio, per sottrarsi ai persecutori, da Camerino a Raiano, paese in provincia dell'Aquila di cui è patrono ed in cui, a cavallo del fiume Aterno, è ubicato il suggestivo eremo di San Venanzio, meta di secolare devozione e pellegrinaggi soprattutto dalla zona di Penne e Montebello di Bertona, in provincia di Pescara.
Attualmente l'intera area delle Gole di San Venanzio è protetta come sito di interesse comunitario e tutelata dalla omonima Riserva naturale regionale.
Il martire venne sepolto a Camerino, fuori della Porta Orientale, nel luogo sul quale venne edificata una basilica (V secolo) tuttora sede dell'"Arca del santo" e del suo secolare culto.
San Venanzio martire è festeggiato il 18 maggio, ma a Raiano lo si festeggia anche nei giorni 8 febbraio, 16 settembre e 17 novembre.  
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San Venceslao

(Stochow,  907 ca. - Stará Boleslav, tra il 929 e il 935) 

 


S. Venceslao duca di Boemia fu santamente educato dalla sua santa avola Ludmilla, donna di gran pietà; la quale si prese una cura speciale del giovine nipote, e gli 'ispirò fin dai primi suoi anni il santo timor di Dio, l'amore alla virtù, e un gran rispetto alla Cristiana Religione. Avendo l'empia Drahomira madre del santo duca Venceslao fatto barbaramente uccidere la sua suocera Ludmilla, ottenne con un tal mezzo il governo dei popoli della Boemia: ma questi, disgustati dagli esempi della sua mala vita e dalle massime della sua detestabile politica, scossero il giogo del suo tirannico impero, e salutarono per loro Re nella città di Praga il Santo Principe Venceslao; il quale si applicò a riformare gli abusi, che s'erano introdotti nello Stato, e a farvi regnare la giustizia e la pietà. Formato dalla sua madre Drahomira, e dal suo fratello Boleslao il perverso disegno di levarlo dal mondo, fu da quest'ultimo crudelmente ucciso in odio della Cristiana Religione, mentre stava prostrato avanti a Dio in devote orazioni. Fu poi da Dio onorato con molti miracoli, che seguirono al suo sepolcro, qual testimonio delta sua santità.  (Dai Bollandisti).

 

Santa Veronica 

( Galilea, I sec.)

 

 

 

Santa Veronica è la pia donna che vedendo la passione del Cristo che trasportava la croce e il suo volto sporco di sudore e sangue, lo deterse con un panno di lino, sul quale rimase l'immagine del Volto Santo.
La tradizione cristiana racconta che successivamente votò la propria vita alla diffusione della buona novella e viaggiò per l'Europa lasciando a Roma il lino col volto Santo (la vera icona, come predestinato dal suo stesso nome) e proseguì in Francia dove iniziò la conversione dei galli.
È stata dichiarata santa protettrice della Francia e delle lavandaie.
È festeggiata il 12 luglio.

San Vincenzo

(Huesca, Spagna, ? - Valencia, 304)

 

San Vincenzo nato in Saragozza di nobile stirpe fu educato da San Valerio Vescovo di questa città, il quale scorgendo nel suo discepolo un complesso ammirabile di virtù lo fece Diacono della sua Chiesa; e non solo lo impiegò negli uffici propri di quest'Ordine, ma trovandosi egli per impedimento di lingua inabile a parlare, lo fece predicare al suo popolo, il che fu eseguito dal S. Diacono con gran fervore di spirito. Infieriva allora contro i Cristiani ]a persecuzione mossa dagli Imperatori Diocleziano e Massimiano; onde il Presidente della Spagna si fece condurre fra gli altri, anche Valerio Vescovo di Saragozza con il suo Diacono S. Vincenzo perché gli rendessero conto della loro fede. Il S. Vescovo impedito dalla difficoltà nell'esprimersi non rispondeva: allora S. Vicenzo dichiarò altamente che erano ambedue Cristiani. Il Presidente contentandosi di esiliare Valerio, scaricò tutto il suo furore contro Vincenzo. Indicibili sono i tormenti, con cui fu straziato il S. Martire, il quale sempre costante, soffrì con gioia ogni supplizio per non offendere Dio, e non abbandonare la fede in Gesù; ed il Signore, in premio di un simile valoroso combattimento lo chiamò alla sua eterna beatitudine. (Dal Ruinart).  

San Vincenzo dè Paoli

(Pouy, 1581 - Parigi, 1660)

 

 

San Vincenzo dè Paoli, nato di poveri genitori in un piccolo villaggio nella Diocesi di Acqs nella Francia, diede fin dalla fanciullezza manifesti segni della futura sua santità. Dopo aver fatti i suoi studi fu ordinato Sacerdote; e divenuto schiavo dei Turchi, convertì al Signore il suo padrone, col quale ritornò nella Francia, dove governò con grandissimo zelo due Parrocchie; e quindi dichiarato Cappellano maggiore delle galere di Francia, si applicò alla salute di quegli infelici galeotti; i quali rispettandolo come un padre, eseguivano volentieri i suoi salutari consigli. Contemplando con occhio compassionevole l'ignoranza che regnava fra le genti di campagna e la condotta poco regolata delle persone del clero, fondò una Congregazione di Sacerdoti secolari, destinandoli alle Missioni, e all'educazione ed istruzione delle persone ecclesiastiche. In mezzo a tante premure che si prendeva per l'altrui salute, non si dimenticava della propria; né mai tralasciò di esercitarsi con l'aiuto di Dio in tutte quelle sublimi virtù, le quali dopo immense fatiche e travagli sofferti in questa terra, lo condussero all'eterno riposo.  (Dal P. Acami).  

San Vincenzo Ferreri

(Valencia, 1350 - Vannes, 1419)

 

 

San Vincenzo Ferreri nacque nella città di Valencia in Spagna. Fattosi Religioso dell'ordine di S. Domenico, impiegava il suo tempo o nello studio, o nell'orazione. Procurò il demonio in varie maniere di fargli perdere la sua verginità, ma egli animato dalla B. Vergine, alla cui protezione ricorreva con fervide preghiere, ne uscì vincitore. Scacciò generosamente dalla sua cella una impudica meretrice, spintavi da alcuni lascivi, per indurlo al peccato. Si applicò il Santo alla predicazione del Vangelo, alla quale era stato da Dio chiamato per mezzo di una speciale rivelazione. Il soggetto ordinario delle sue prediche era il giudizio finale, che Iddio farà di tutti gli uomini. Grandissimo era il numero di quelli che andavano ad ascoltarlo; e tale l'energia e la forza del suo dire, che faceva piangere a dirotta tutto l' uditorio; ed i peccatori si riempivano di tal terrore e pentimento, che mossi dalla Divina grazia, in gran numero si convertivano a penitenza. Giunto al fine dei suoi giorni, prese i SS. Sacramenti, e morì pronunziando con grandissima  devozione i SS. Nomi di Gesù e di Maria. (Dai Bollandisti).

 

San Vincenzo Pallotti

(Roma,  21 aprile 1795 - 22 gennaio 1850)

 

San Vincenzo Pallotti nasce a Roma il 21 aprile 1795 e durante l'infanzia riceve un'educazione cristiana dai genitori Pietro Paolo e Maddalena De Rossi, che trasmettono al figlio la loro fede. Da giovane inizia i suoi studi presso gli Scolopi a san Pantaleo e li prosegue poi al Seminario Romano e all'Università di Roma. Si specializza nelle lettere latine e greche. Consegue le lauree in filosofia e teologia e riceve la cattedra di «ripetitore» per i laureandi. Viene ordinato sacerdote il 16 maggio 1818. nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Alcuni anni dopo l'ordinazione sacerdotale, abbandona l'università per dedicarsi interamente all'attività pastorale.
L'esperienza di Dio Amore e Misericordia apre gli occhi di san Vincenzo Pallotti ai bisogni della Chiesa. Egli legge la volontà di Dio nei segni dei tempi. La sua risposta all'ispirazione del 9 gennaio 1835 è l'Opera dell'Apostolato Cattolico, in cui i battezzati partecipano alla missione della Chiesa nella realizzazione di uno scopo comune. Vincenzo Pallotti esprime questa sua intuizione nelle parole: «L'Apostolato Cattolico, cioè universale, come può essere comune ad ogni classe di persone, è il fare quanto ciascuno può e deve fare per la maggiore gloria di Dio e per la propria e altrui salvezza» 
Muore nei pressi della chiesa di san Salvatore in Onda il 22 gennaio 1850. Anche se non si hanno testimonianze dirette del suo intervento nell'anno giubilare 1825, l'unico al quale il «sacerdote di Roma» ha partecipato attivamente, i momenti più significativi della sua vita sono segnati dagli avvenimenti giubilari. 
Dopo la morte del Fondatore, l'Unione dell'Apostolato Cattolico, costituita nel suo primo nucleo da sacerdoti, religiosi e fedeli laici, ha uno sviluppo costante ed organico. Paolo VI dichiara che san Vincenzo Pallotti, con la sua vita e il suo pensiero «ha fatto quel ponte, fra il clero e il laicato, che è una delle vie più percorse dalla spiritualità moderna; è una delle vie che danno maggiore speranza alla Chiesa di Dio».
Giovanni Paolo II, in un Messaggio alla Famiglia Pallottina del 1995, la esorta a «promuovere e sviluppare questa visione profetica». Ad essa «ciascuno si ispiri per essere sempre più fervido annunciatore della fede viva e apostolo della carità operosa». Sintesi da:
L'OSSERVATORE ROMANO.

 

Santa Virginia Centurione

(Genova, 2 aprile 1587 - 15 dicembre 1651)

 

Virginia fu figlia di Giorgio Centurione, doge della Repubblica di Genova nel biennio 1621-1622, e di Lelia Spinola. La sua famiglia era nobile e facoltosa nei due rami paterno e materno, e allo stesso tempo ricca di virtù cristiane e sollecita nel soccorrere i bisognosi. Sua mamma era conosciuta a Genova come la Dama Santa. Da lei Virginia imparò a ripetere e amare i nomi di Gesù e Maria. La mamma le insegnò le preghiere più semplici, così come le insegnò a leggere e scrivere prima che fosse affidata, secondo l'usanza del tempo, alle cure del cappellano della casa, lo stesso che insegnava a suo fratello Francesco.
I genitori volevano dare alla figlia un'istruzione che le permettesse di  leggere le opere letterarie. In realtà Virginia imparava molto rapidamente, e avanzò tanto nella conoscenza del latino e della Bibbia che cominciò a meditarla e mantenne questa abitudine per tutta la vita, e, quando si presentava l'occasione, la citava con sapienza e disinvoltura. Già da bambina ripeteva alla mamma che desiderava farsi monaca come altre sue parenti. Mamma Lelia accettava i desideri della figlia, ma le diceva che era molto piccola per entrare in convento. "Quando compirai venti anni, le assicurò, ti porterò io stessa al monastero".
Sua mamma però morì poco dopo. Il padre, secondo l'usanza del tempo, la promise in sposa a Gaspare Bracelli, genovese, unico erede di una ricca e nobile famiglia. Quando Virginia compì quindici anni il padre la chiamò e le disse che la aveva promessa sposa a Gaspare. La reazione di Virginia fu che si sciolse in un pianto sconsolato. Sapeva infatti che non poteva opporsi al desiderio del padre.
La vita matrimoniale di Virginia non fu facile. Gaspare, dopo un breve periodo di vita tranquilla, tornò a frequentare i vecchi amici e a dedicarsi ai vecchi divertimenti: caccia e gioco. Tale vita continuò anche dopo la nascita delle due figlie, Lelia e Isabella.
Virginia cercava di nascondere la condotta di suo marito non solo al padre, ma anche alla suocera, che viveva nello stesso palazzo. Tutte le sere inventava una scusa per i lunghi ritardi del marito, e convinceva la suocera a ritirarsi. Passava le ore di attesa leggendo la Bibbia e pregando davanti al crocifisso o lavorando. Quando Gaspare tornava a casa verso l'alba era sempre pronta, delicata e attenta.
Nel 1606 Gaspare si ammalò gravemente ai polmoni, e i medici consigliarono un clima più salubre. Gaspare si trasferì ad Alessandria presso dei cugini. Virginia divenne premurosa infermiera. Chiamò i più famosi medici di Genova, Pavia e Milano, senza badare a spese. Tutti dovettero riconoscere la gravità del male. Perse le speranze della guarigione, Virginia si dedicò quindi a preparare Gaspare per il passo finale. Un giorno convinse Gaspare ad accettare la visita di un cappuccino. Il marito acconsentì, e il colloquio durò abbastanza, mentre Virginia pregava. Qualche giorno dopo, Gaspare domandò un sacerdote e fece la confessione generale. Consegnò pure una lista di debiti da pagare, in cui figuravano anche le somme di denaro guadagnate al gioco con giovani minorenni.
Dopo di ciò, il malato si mantenne in forte unione con Dio, stringeva tra le mani il crocifisso e ripeteva con fiducia le preghiere di abbandono che Virginia gli suggeriva.
Gaspare Bracelli morì il 13 giugno 1607, a soli 24 anni di età. Virginia rimase vedova a soli 20 anni. Era l'età che sua madre le aveva indicato per l'entrata in monastero.
Si interessò in particolare alle condizioni dei prigionieri. Portava loro aiuti materiali, e anche una parola di conforto e di speranza cristiana. Ascoltava le loro lamentele per gli abusi e la mancanza di rispetto dei patti, e quindi accedeva agli uffici competenti affinché fosse assicurata la dovuta assistenza, soprattutto quella medica. Nella sua attività instancabile di aiuto ai bisognosi, nei quali voleva servire il Signore, si dedicò anche agli "ultimi" di quel tempo, i rematori delle galere. Nonostante l'opposizione della famiglia, che si vergognavano della sua maniera di procedere, andava al porto formicolante di gente di tutte le categorie, parlava di Dio ai galeotti, cercando di attenuare in loro l'odio che sentivano verso la società.
Nel 1630 le due figlie di Virginia erano già sposate, e Virginia viveva da sola nel suo palazzo. Nell'agosto 1625 era morta anche la suocera Maddalena. Virginia passava le serate in preghiera dopo aver passato la giornata lavorando per i poveri della città.
Fu in una di quelle serate che un pianto prolungato distrasse Virginia dal suo dialogo con Dio. Era una giovane sola, che batteva i denti dal freddo e non sapeva dove andare. Virginia scese di corsa le scale, uscì, chiamò la ragazza e la ricevette nella sua casa. Abbracciò la giovane, la rivestì, la riscaldò, le dette da mangiare e le disse: "Rimarrai qui con me e sarai mia figlia". In poco tempo furono quindici le giovani accolte nel palazzo di Virginia. E arrivarono altre giovani. Virginia, dopo aver occupato anche l'attico del suo palazzo, dovette cercare un locale più grande. La nuova casa fu chiamata "Rifugio di Monte Calvario". Lì Virginia riceveva tutte le bambine, ragazze e donne che si presentavano, senza guardare la classe sociale, il livello culturale, il luogo di origine. Vedove, sposate, ragazzine, Virginia non indagava il loro passato o le intenzioni con cui erano arrivate a Monte Calvario, chiedeva solo docilità e obbedienza.
Le assistite riacquistavano la dignità, la considerazione e l'affetto perso o mai sperimentato, tutto questo grazie all'opera di promozione umana e spirituale portata avanti da Virginia.
In Monte Calvario si pregava, si lavorava, si cantava, ci si ricreava, però sempre con uno stile che facilmente si imparava dalle parole e dalla presenza della madre. Tra i primi benefattori troviamo Giovanna e Francesco Lomellini, che dalle sue navi cariche di grano scaricava prima la parte delle Figlie di Virginia. C'è pure il fratello di Virginia, Francesco, Capo dell'Esercito Pontificio. Ci sono molti benefattori umili e sconosciuti che ammirano il lavoro di Virginia e danno tutto quello che possono.
A volte succede che uno sconosciuto incontra Virginia per la strada e le pone in mano una buona quantità di soldi e scompare velocemente senza dire una parola; altre volte è Placida Spinola che le manda un'offerta non attesa; oppure è il ricco commerciante pronto per partire per la Spagna che le chiede preghiere e le lascia una generosa offerta.
Un anno, durante le feste di Natale, Virginia gira per la città cercando aiuti. Il freddo, la pioggia e il fango chiudono la gente in casa. Ha raccolto molto poco, e si incammina verso Monte Calvario ripetendo le parole del Salmo: "Getta nel Signore il tuo affanno, egli ti salverà" (Sal 54,23). Alzando gli occhi vede una fila di asinelli che vanno davanti a lei nella salita del convento. Gli asinelli entrano nel portone, e la portiera, vedendo la Madre, crede che sono suoi e li scarica allegramente. Quando Virginia entra nel portone gli asinelli stanno già uscendo. "Chi ha mandato queste cose?", domanda. "Non so", risponde la portiera, "credevo che li avesse mandati lei e per questo li ho scaricati di corsa". Virginia si affaccia alla porta, però non vede più né gli uomini né gli animali. Cade allora in ginocchio e ringrazia il Signore che non abbandona mai chi confida in lui.
Fece ricorso alla nobiltà genovese, che offrì mezzi materiali e una collaborazione efficace. Sorsero così le "Cento Signore della Misericordia protettrici dei Poveri di Gesù Cristo" ("Cento signore di Carità"), che, insieme ad altre volontarie, portarono avanti nei vari quartieri un'opera caritativa capillare e costante.
Le autorità civili avevano visto l'opera portata avanti da Virginia. Per questo, e anche per la sua posizione sociale, le chiesero un ulteriore e prezioso servizio: la riforma del lazzaretto.
All'alba del 15 dicembre 1651 Virginia sa che le restano poche ore di vita. A chi le suggerisce le parole del Salmo "Andremo alla casa del Signore" (121,1) risponde: "Sì"; e con un filo di voce aggiunge: "Il mio cuore è pronto, o Dio... Signore, ecco la mia anima". Furono le sue ultime parole. Virginia aveva 64 anni.
Virginia fu beatificata da Giovanni Paolo II il 22 settembre 1985 a Genova, in Piazza della Vittoria, durante la visita pastorale alla città e alla arcidiocesi. Fu canonizzata dallo stesso papa il 18 maggio 2003 a Roma, in Piazza San Pietro.  Estratto 
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San Vito

(Mazara del Vallo, III sec. – Lucania, 15 giugno 303)

 

La storia di San Vito narra di un fanciullo di sette anni, nato in Sicilia da nobile famiglia e martirizzato a Roma al tempo dell'imperatore Diocleziano (303-304 d.C.). Figlio di un padre pagano, il fanciullo Vito, educato al cristianesimo dal precettore Modesto e dalla nutrice Crescenzia, operava molti miracoli e prodigi nella sua terra, tanto che l'autorità locale, il preside Valeriano, lo fece arrestare, torturare e chiudere in carcere. Il padre cercò di convincere il fanciullo a rinnegare la sua fede con punizioni e con lusinghe, ma inutilmente. Liberato da un angelo, insieme a Modesto e Crescenzia, dopo un viaggio per mare, approdò in Lucania, presso il Sele, dove continuò a compiere miracoli e prodigi. Fu poi chiamato a Roma dall'imperatore Diocleziano che aveva un figlio (o figlia) ossesso. Vito lo guarì, ma l'imperatore irriconoscente lo fece ugualmente incarcerare e torturare in quanto il fanciullo non aveva voluto rinnegare la sua fede e sacrificare agli dei romani. Un angelo, però, liberò Vito, Modesto e Crescenzia dai terribili supplizi a cui furono sottoposti, e li condusse a volo presso il fiume Sele, dove i tre spirarono. 
Al racconto originario della passio del martire si aggiunsero col tempo moltissime leggende relative alle translationes delle sue reliquie in varie città e monasteri, e a vari miracoli compiuti dal martire, leggende che contribuirono ad accrescere ulteriormente la sua fama che alla fine del XV secolo raggiunse l'apice. San Vito è patrono di: farmacisti, osti, minatori, fabbri, birrai, albergatori, muti e sordi, vignaioli, attori, ballerini.  (D. Iannucci, Il libro di San Vito).

 

San Vittore

( ? - Roma, 290)

 

 

E' degno di memoria il glorioso martire, S. Vittore. il quale militando nelle truppe dell'imperatore Massimiano, crudele persecutore dei Cristiani, non mancava tuttavia a nessuno dei doveri della Cristiana Religione, che professava. Lo zelo col quale esortava i fedeli a soffrire i tormenti e a morire per Gesù Cristo, avendolo manifestato per Cristiano, fece sì che ei fosse condotto avanti ai giudici; i quali avendolo trovato fermo e costante nella Fede, lo rimisero al giudizio dell'Imperatore. Impiegò il tiranno primate lusinghe, poi le minacce, e quindi la più fiera carneficina per indurlo a sacrificare agli idoli; ma vedendo che il S. Martire intrepido a tutto resisteva, lo condannò ad essere stritolato sotto la macina di un mulino. Prima però che egli morisse, essendosi rotta la macina, gli fu tagliata la testa, applaudendo il Cielo alla sua vittoria con queste voci: Hai vinto Vittore, hai vinto.  (Dal Tillemont).

San Zenone

(sec. IV - 372)

 

 


S. Zenone nativo di Cesarea nella Mauritania, per divina disposizione dall'Oriente venne a Verona, ove fu eletto e consacrato Vescovo col consenso del Clero e del popolo di quella città. Fu tale il suo zelo Dell'estirpare gli avanzi delle idolatriche superstizioni, che soleva nelle feste di Pasqua ogni anno con gran giubilo del suo cuore battezzare un gran numero dì quelli, che per mezzo delle sue prediche abbracciavano la cattolica Fede. Ed in tal occasione il S. Vescovo dopo averli rigenerati a Cristo col sacrosanto lavacro, raccomandava loro di conservare la grazia che avevano ricevuta. Né con minore zelo e felice successo egli s'adoperò contro gli Ariani, dei quali molti allora erano in Verona: inoltre cercò di svellere dall'animo del suo popolo ogni sorta di vizi, e di piantarvi le vere virtù; e a lui si attribuisce la gloria di aver fondato uno de' primi monasteri di sacre Vergini nell'Occidente. Finalmente pieno di meriti se ne passò alla beata eternità, glorificato dopo morte da Dio con molti miracoli, che accrebbero vieppiù, la celebrità del suo nome.
(Dai Fratelli Ballerini).

 

Santa Zita

(Monsagrati di Lucca, 1218 - Lucca,  27 Aprile 1278)

 



Proveniente da una famiglia povera, a soli dodici anni iniziò a servire in casa della famiglia Fatinelli a Lucca. Si fece subito apprezzare dai poveri della città per la generosità con cui elargiva ciò che riusciva a risparmiare, e dalla famiglia Fatinelli per la dedizione al lavoro e per la bontà d'animo. Si racconta che, forse proprio perché invidiosa dell'affetto ricevuto da Zita, un'altra domestica dei Fatinelli iniziò ad insinuare nella mente del capo famiglia il sospetto che Zita rubasse in casa ciò che donava ai poveri. Un giorno il padrone incontrò Zita con il grembiule gonfio mentre si recava da una famiglia bisognosa. Le chiese cosa portasse e la Santa rispose che portava solo fiori e fronde e, per miracolo, sciolto il grembiule, caddero, appunto, fiori e fronde. La stima per Zita, in odore di santità, crebbe notevolmente per tutta la sua permanenza terrena tanto che, alla sua morte, i cittadini di Lucca vollero che il suo corpo venisse sepolto nella Basilica di San Frediano e presto crebbe il suo culto, tanto da diventare patrona della città.
Il suo corpo è ancora custodito all'interno della Basilica di San Frediano, per questo meta continua di pellegrinaggi, e sembra che sia rimasto incorrotto fino all'ultima ricognizione, avvenuta nel 1652. Il suo culto fu approvato il 5 Settembre 1696 da Innocenzo XII. Santa Zita fu proclamata patrona delle domestiche da Pio XII. E' anche patrona delle casalinghe e dei fornai. 
Il nome Zita è una variante toscana di "cita" o "citta", che significa ragazza o, per estensione, zitella ma, nel caso della Santa, vergine. I suoi emblemi sono le chiavi (in riferimento alla casa da lei servita per tutta la vita) ed il giglio, simbolo di purezza.  Santa Zita era così venerata in Toscana da essere citata da Dante che, facendo riferimento ad un magistrato di Lucca, parla di "anzian di santa Zita", identificando già Lucca con la Santa.    
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera). .

San Zosimo Papa

(Siracusa, 570 - 30 marzo 660)

 


I genitori di  San Zosimo, Vescovo di Siracusa, furono proprietari terrieri siciliani che dedicarono il loro figliolo al servizio di Santa Lucía e lo collocarono, all'età di sette anni, in un monastero che portava il nome della santa, vicino alla sua casa. Lì la sua principale occupazione fu quella di badare alle reliquie della santa, compito che non si adattava al modo di fare del bambino abituato alla vita dei campi, inducendolo a scappare dal convento. Vi fu riportato con umiliazione e dopo aver sognato una Santa Lucia dall'aspetto arrabbiato  (e aver visto la Santa Madre intercedere per lui), Zosimo promise che non avrebbe fatto  mai più tali cose, adattandosi alla vita del chiostro. 
Per 30 anni visse quasi dimenticato; morendo l'abate di Santa Lucía, ricadde sul vescovo di Siracusa il compito di designare il nuovo abate e scelse Zosimo, che sarebbe stato ordinato sacerdote dopo alcuni giorni. Il santo governò il monastero con tale saggezza, amore e prudenza che superò tutti i suoi predecessori. Quando la sede vescovile rimase vacante, il Papa Teodoro designò  Zosimo e lo consacrò. Durante il suo episcopato, fu notevole il suo zelo nell'insegnamento delle verità della fede e per la sua generosità coi poveri. San Zosimo morì attorno all'anno 660, all'età di 90 anni il  30 marzo.