Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo

Scritti e discorsi di Giovanni Paolo II

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II 
PER L'INIZIO DEL PONTIFICATO

Domenica 22 ottobre 1978

1. “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Queste parole ha pronunciato Simone figlio di Giona, nella regione di Cesarea di Filippo. Sì, le ha espresse con la propria lingua, con una profonda, vissuta, sentita convinzione, ma esse non trovano in lui la loro fonte, la loro sorgente: “...perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). Queste erano parole di Fede. Esse segnano l’inizio della missione di Pietro nella storia della salvezza, nella storia del Popolo di Dio. Da allora, da tale confessione di Fede, la storia sacra della salvezza e del Popolo di Dio doveva acquisire una nuova dimensione: esprimersi nella storica dimensione della Chiesa. Questa dimensione ecclesiale della storia del Popolo di Dio trae le sue origini, nasce infatti da queste parole di Fede e si allaccia all’uomo che le ha pronunciate: “Tu sei Pietro – roccia, pietra – e su di te, come su una pietra, io costruirò la mia Chiesa”. 

2. Quest’oggi e in questo luogo bisogna che di nuovo siano pronunciate ed ascoltate le stesse parole: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Sì, Fratelli e Figli, prima di tutto queste parole. Il loro contenuto dischiude ai nostri occhi il mistero di Dio vivente, mistero che il Figlio conosce e che ci ha avvicinato. Nessuno, infatti, ha avvicinato il Dio vivente agli uomini, nessuno Lo ha rivelato come l’ha fatto solo lui stesso. Nella nostra conoscenza di Dio, nel nostro cammino verso Dio siamo totalmente legati alla potenza di queste parole “Chi vede me, vede pure il Padre”. Colui che è Infinito, inscrutabile, ineffabile si è fatto vicino a noi in Gesù Cristo, il Figlio unigenito, nato da Maria Vergine nella stalla di Betlemme. – Voi tutti che già avete la inestimabile ventura di credere, – voi tutti che ancora cercate Dio, – e pure voi tormentati dal dubbio: vogliate accogliere ancora una volta – oggi e in questo sacro luogo – le parole pronunciate da Simon Pietro. In quelle parole è la fede della Chiesa. In quelle stesse parole è la nuova verità, anzi, l’ultima e definitiva verità sull’uomo: il figlio del Dio vivente. “Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente”! 

3. Oggi il nuovo Vescovo di Roma inizia solennemente il suo ministero e la missione di Pietro. In questa Città, infatti, Pietro ha espletato e ha compiuto la missione affidatagli dal Signore. Il Signore si rivolse a lui dicendo: “...quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Pietro è venuto a Roma!  Cosa lo ha guidato e condotto a questa Urbe, cuore dell’Impero Romano, se non l’obbedienza all’ispirazione ricevuta dal Signore? Forse questo pescatore di Galilea non avrebbe voluto venire fin qui. Forse avrebbe preferito restare là, sulle rive del lago di Genesaret, con la sua barca, con le sue reti. Ma, guidato dal Signore, obbediente alla sua ispirazione, è giunto qui! Secondo un’antica tradizione (che ha trovato anche una sua magnifica espressione letteraria in un romanzo di Henryk Sienkiewicz), durante la persecuzione di Nerone, Pietro voleva abbandonare Roma. Ma il Signore è intervenuto: gli è andato incontro. Pietro si rivolse a lui chiedendo: “Quo vadis, Domine?” (Dove vai, Signore?). E il Signore gli rispose subito: “Vado a Roma per essere crocifisso per la seconda volta”. Pietro tornò a Roma ed è rimasto qui fino alla sua crocifissione. Sì, Fratelli e Figli, Roma è la Sede di Pietro. Nei secoli gli sono succeduti in questa Sede sempre nuovi Vescovi. Oggi un nuovo Vescovo sale sulla Cattedra Romana di Pietro, un Vescovo pieno di trepidazione, consapevole della sua indegnità. E come non trepidare di fronte alla grandezza di tale chiamata e di fronte alla missione universale di questa Sede Romana?! Alla Sede di Pietro a Roma sale oggi un Vescovo che non è romano. Un Vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa pure lui romano. Sì, romano! Anche perché figlio di una nazione la cui storia, dai suoi primi albori, e le cui millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo, forte, mai interrotto, sentito e vissuto con la Sede di Pietro, una nazione che a questa Sede di Roma è rimasta sempre fedele. Oh, inscrutabile è il disegno della divina Provvidenza! 

4. Nei secoli passati, quando il Successore di Pietro prendeva possesso della sua Sede, si deponeva sul suo capo il triregno, la tiara. L’ultimo incoronato è stato Papa Paolo VI nel 1963, il quale, però, dopo il solenne rito di incoronazione non ha mai più usato il triregno lasciando ai suoi Successori la libertà di decidere al riguardo. Il Papa Giovanni Paolo I, il cui ricordo è così vivo nei nostri cuori, non ha voluto il triregno e oggi non lo vuole il suo Successore. Non è il tempo, infatti, di tornare ad un rito e a quello che, forse ingiustamente, è stato considerato come simbolo del potere temporale dei Papi. Il nostro tempo ci invita, ci spinge, ci obbliga a guardare il Signore e ad immergere in una umile e devota meditazione del mistero della suprema potestà dello stesso Cristo. Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname – come si riteneva –, il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi “un regno di sacerdoti”. Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo – Sacerdote, Profeta-Maestro, Re – continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione. E forse nel passato si deponeva sul capo del Papa il triregno, quella triplice corona, per esprimere, attraverso tale simbolo, che tutto l’ordine gerarchico della Chiesa di Cristo, tutta la sua “sacra potestà” in essa esercitata non è altro che il servizio, servizio che ha per scopo una sola cosa: che tutto il Popolo di Dio sia partecipe di questa triplice missione di Cristo e rimanga sempre sotto la potestà del Signore, la quale trae le sue origini non dalle potenze di questo mondo, ma dal Padre celeste e dal mistero della Croce e della Risurrezione. La potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell’uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore. Essa non parla con un linguaggio di forza, ma si esprime nella carità e nella verità. Il nuovo Successore di Pietro nella Sede di Roma eleva oggi una fervente, umile, fiduciosa preghiera: “O Cristo! Fa’ che io possa diventare ed essere servitore della tua unica potestà! Servitore della tua dolce potestà! Servitore della tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei tuoi servi”. 

5. Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà! Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera! Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna. Proprio oggi la Chiesa intera celebra la sua “Giornata Missionaria Mondiale”, prega, cioè, medita, agisce perché le parole di vita del Cristo giungano a tutti gli uomini e siano da essi accolte come messaggio di speranza, di salvezza, di liberazione totale. 

6. Ringrazio tutti i presenti che hanno voluto partecipare a questa solenne inaugurazione del ministero del nuovo Successore di Pietro. Ringrazio di cuore i Capi di Stato, i Rappresentanti delle Autorità, le Delegazioni di Governi per la loro presenza che mi onora tanto. Grazie a voi, Eminentissimi Cardinali della Santa Chiesa Romana! Vi ringrazio, diletti Fratelli nell’Episcopato! Grazie a voi, Sacerdoti! A voi Sorelle e Fratelli, Religiose e Religiosi degli Ordini e delle Congregazioni! Grazie!  Grazie a voi, Romani!  Grazie ai pellegrini convenuti da tutto il mondo!  Grazie a quanti sono collegati a questo Sacro Rito attraverso la Radio e la Televisione! 

7. Do Was sie zwracam umilowani moi Rodacy, Pielgrzymi z Polski, Bracia Biskupi z Waszym Wspanialym Prymasem na czele, Kaplani, Siostry i Bracia polskich Zakonów – do Was, Przedstawiciele Polonii z calego swiata.  A cóz powiedziec do Was, którzy tu przybyliscie z mojego Krakowa, od stolicy sw. Stanislawa, ktorego bylem niegodnym nastepca przez lat czternascie. Coz powiedziec? Wszystko co bym mogl powiedziec bedzie blade w stosunku do tego, co czuje w tej chwili mofe serce. A takze w stosunku do tego, co czuja Wasze serca.  Wiec oszczedzmy slów. Niech pozostanie tylko wielkie milczenie przed Bogiem, ktore jest sama modlitwa.  Prosze Was! Badzcie ze mna! Na Jasnej Gorze i wszedzie! Nie przestawajcie byc z Papiezem, który dzis prosi slowami poety “Matko Boza, co Jasnej bronisz Czestochowy i w Ostrej swiecisz Bramie”!i do Was kieruie te slowa w takiej niezwyklej chwili. 

È stato questo un appello ed un invito alla preghiera per il nuovo Papa, appello espresso in lingua polacca. Con lo stesso appello mi rivolgo a tutti i figli ed a tutte le figlie della Chiesa Cattolica. Ricordatemi oggi e sempre nella vostra preghiera. 

Aux catholiques des pays de langue française, j’exprime toute mon affection et tout mon dévouement! Et je me permets de compter sur votre soutien filial et sans réserve! Puissiez-vous progresser dans la foi! A ceux qui ne partagent pas cette foi, j’adresse aussi mon salut respectueux et cordial. J’espère que leurs sentiments de bienveillance faciliteront la mission spirituelle qui m’incombe et qui n’est pas sans retentissements sur le bonheur et la paix du monde! 

To all of you who speak English I offer in the name of Christ a cordial greeting. I count on the support of your prayers and your good will in carrying out my mission of service to the Church and mankind. May Christ give you his grace and his peace, overturning the barriers of division and making all things one in him. 

Einen herzlichen Gruss richte ich an die hier anwesenden Vertreter und alle Menschen aus den Ländern deutscher Sprache. Verschiedene Male – und erst kürzlich durch meinen Besuch in der Bundersrepublik Deutschland – hatte ich Gelegenheit, das segensreiche Wirken der Kirche und Ihrer Gläubigen persönlich kennen und Schätzen zu lernen. Lassen Sie Ihren opferbereiten Einsatz für Christus auch weiterhin fruchtbar werden für die grossen Anliegen und Note der Kirche in aller Welt. Darum bitte ich Sie und empfehle meinen neuen apostolischen Dienst auch Ihrem besonderen Gebet. 

Mi pensamiento se dirige ahora hacia el mundo de la lengua española, una porción tan considerable de la Iglesia de Cristo. A vosotros, Hermanos e hijos queridos, llegue en este momento solemne el afectuoso saludo del nuevo Papa. Unidos por los vínculos de una común fe católica, sed fieles a vuestra tradición cristiana, hecha vida en un clima cada vez más justo y solidario, mantened vuestra conocida cercanía al Vicario de Cristo y cultivad intensamente la devoción a nuestra Madre, María Santísima. 

Irmaos e Filhos de língua portuguesa: como “servo dos servos de Deus”, eu vos saúdo afectuosamente no Senhor. Abenoando-vos, confio na caridade da vossa oraao, e na vossa fidelidade para viverdes sempre a mensagem deste dia e deste rito: “Tu és o Cristo, o Filho de Deus vivo!”. 

(seguiva un breve testo in lingua russa, qui omesso) 

Apro il cuore a tutti i Fratelli delle Chiese e delle Comunità Cristiane, salutando, in particolare, voi che qui siete presenti, nell’attesa del prossimo incontro personale; ma fin d’ora vi esprimo sincero apprezzamento per aver voluto assistere a questo solenne rito. E ancora mi rivolgo a tutti gli uomini, ad ogni uomo (e con quale venerazione l’apostolo di Cristo deve pronunciare questa parola: uomo!).  Pregate per me! 

Aiutatemi perché io vi possa servire! Amen.

      PREPARARE L'AVVENTO DI CRISTO

"La comunità cristiana ha il compito di farsi testimone di fronte al mondo di questa attesa annunciando... la nuova venuta del Signore allorché il tempo lascerà il posto all'eternità. Viviamo insieme con Maria questo tempo di attesa e chiediamole di guidare i nostri passi incontro al Signore. Ella oggi ci ripete con il suo Figlio: «Alzatevi e levate il capo perché la vostra redenzione è vicina!». (Angelus 27.11.88  Avvenire)

"Questo pellegrinaggio deve continuare! Deve continuare nelle nostre vite. Dove continuare nella vita della Chiesa mentre guarda al terzo millennio cristiano. Deve continuare come “un nuovo avvento”, un momento di speranza  e di attesa, fino al ritornoº del Signore nella Gloria. La nostra celebrazione di questa giornata mondiale della gioventù è una sosta lungo il cammino, un momento di preghiera e di ristoro, ma il nostro viaggio deve condurci ancora avanti. Denver, Colorado (U.S.A.) 15.08.1993

Parlando alla stampa sul significato del giubileo del 2000 “La sfida è costituita dal vedere il mondo propriamente informato sul vero significato dell'anno 2000, anniversario della nascita di Gesù Cristo. Il Giubileo non può essere solo il ricordo di un evento passato per quanto straordinario, deve essere la celebrazione di una presenza viva e un invito a guardare al secondo avvento del nostro salvatore, momento in cui instaurerà una volta per sempre il Suo Regno di giustizia, di amore e di pace. Roma (Italia) 28.02.1997

“Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua Risurrezione, nell'attesa della tua venuta”. Tutta la Chiesa attende la sua venuta in Oriente e in Occidente. I figli e le figlie del Libano attendono la sua nuova venuta nella gloria. Tutti noi viviamo  l’avvento degli Ultimi Tempi della storia e tutti cerchiamo di preparare la venuta di Cristo, di edificare il Regno di Dio da Lui annunciato. Beirut (Libano) 11.05.1997

 "Adesso l’impegno passa a noi, pellegrini ancora in cammino sulla terra. Dopo l'Ascensione di Gesù due angeli domandano agli Apostoli: " Perché state a  guardare il cielo? Questo Gesù... tornerà un giorno. (Atti 1, 11). La domanda è rivolta anche a noi: siamo ora nel tempo dell’attesa operosa e vigilante del Ritorno glorioso di Cristo! Il nostro spirito, animato da viva speranza, gioisce ed invoca: “Vieni, Signore Gesù”. E la risposta, consegnata nel libro dell'Apocalisse colma di gioia il nostro cuore, come quello di ogni credente: “Sì, vengo presto!". Amen. (Ap.22,20) Torino (Italia), 24.05.1998

 

La "ricapitolazione" di tutte le cose in Cristo

I. Il disegno salvifico di Dio, "il mistero della sua volontà" (Ef 1,9) concernente ogni creatura, è espresso nella Lettera agli Efesini con un termine caratteristico: "ricapitolare" in Cristo tutte le cose, celesti e terrestri (cfr Ef 1,10). L'immagine potrebbe rimandare anche a quell'asta attorno alla quale si avvolgeva il rotolo di pergamena o di papiro del volumen, recante su di sé uno scritto: Cristo conferisce un senso unitario a tutte le sillabe, le parole, le opere della creazione e della storia.

A cogliere per primo e a sviluppare in modo mirabile questo tema della 'ricapitolazione' è sant'Ireneo vescovo di Lione, grande Padre della Chiesa dei secondo secolo. Contro ogni frammentazione della storia della salvezza, contro ogni separazione tra Antica e Nuova Alleanza, contro ogni dispersione della rivelazione e dell'azione divina, Ireneo esalta l'unico Signore, Gesù Cristo, che nell'Incarnazione annoda in sé tutta la storia della salvezza, l'umanità e l'intera creazione: "Egli, da re eterno, tutto ricapitola in sé" (Adversus haereses 111, 21,9).

2. Ascoltiamo un brano in cui questo Padre della Chiesa commenta le parole dell'Apostolo riguardanti appunto la ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Nell' espressione "tutte le cose"  afferma Ireneo  è compreso l'uomo, toccato dal mistero dell' Incarnazione, allorché il Figlio di Dio "da invisibile divenne visibile, da incomprensibile comprensibile, da impassibile passibile, da Verbo divenne uomo. Egli ha ricapitolato tutto in se stesso, affinché come il Verbo di Dio ha il primato, sugli esseri sopracelesti, spirituali e invisibili, allo stesso modo egli l'abbia sugli esseri visibili e corporei. Assumendo in sé questo primato e donandosi come capo alla Chiesa, egli attira tutto in sé" (Adversus haereses 111, 16,6). Questo confluire di tutto l'essere in Cristo, centro dei tempo e dello spazio, sì compie progressivamente nella storia superando; gli ostacoli, le resistenze del peccato e del Maligno.

   3. Per illustrare questa tensione, Ireneo ricorre all'opposizione, già presentata da san Paolo, tra Cristo e Adamo (cfr Rm 5,12-2 1): Cristo è il nuovo Adamo, cioè il Primogenito dell'umanità fedele che accoglie con amore e obbedienza il disegno di redenzione che Dio ha tracciato come anima e meta della storia. Cristo deve, quindi, cancellare l'opera di devastazione, le orribili idolatrie, le violenze e ogni peccato che l'Adamo ribelle ha disseminato nella vicenda secolare dell'umanità e nell'orizzonte de * 1 creato. Con la sua piena obbedienza al Padre, Cristo apre l'era della pace con Dio e tra gli uomini, riconciliando in sé l'umanità dispersa (cfr Ef 2,16). Egli 'ricapitola' in sé Adamo, nel quale tutta l'umanità si riconosce, lo trasfigura in figlio di Dio, lo riporta alla comunione piena con il Padre. Proprio attraverso la sua fraternità con noi nella carne e nel sangue, nella vita e nella morte Cristo diviene il capo dell' umanità salvata. Scrive ancora sant'Ireneo: "Cristo ha ricapitolato in se stesso tutto il sangue effuso da tutti i giusti e da tutti i profeti che sono esistiti dagli inizi" (Adversus haereses V, 14, l; cfr V, 14,2).

4. Bene e male sono, quindi, considerati alla luce dell'opera redentrice di Cristo. Essa, come fa intuire Paolo, coinvolge tutto il creato, nella varietà delle sue componenti (cfr Rm 8,18‑30). La stessa natura infatti, come è sottoposta al non senso, al degrado e alla devastazione provocata dal peccato, così partecipa alla gioia della liberazione operata da Cristo nello Spirito Santo. Si delinea, pertanto, l'attuazione piena dei progetto originale del Creatore: quello di una creazione in cui Dio e uomo, uomo e donna, umanità e natura siano in armonia, in dialogo, in comunione. Questo progetto, sconvolto dal peccato, è ripreso in modo più mirabile da Cristo, che lo sta attuando misteriosamente ma efficacemente nella realtà presente, in attesa di portarlo a compimento. Gesù stesso ha dichiarato di essere il fulcro e il punto di convergenza di questo disegno di salvezza quando ha affermato: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32). E l'evangelista Giovanni presenta quest'opera proprio come una specie di ricapitolazione, un "riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi"(Gv 11,52).

5. Quest'opera giungerà a pienezza nel compimento della storia, allorché  è ancora Paolo a ricordarlo  "Dio sarà tutto in tutti" (ICor 15,28). L'ultima pagina dell'Apocalisse  che è stata proclamata in apertura del nostro incontro dipinge a vivi colori questa meta. La Chiesa e lo Spirito attendono e invocano quel momento in cui Cristo "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza... L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa (Dio) ha posto sotto i piedi" del suo Figlio (1 Cor 15,24.26). Al termine di questa battaglia  cantata in pagine mirabili dall'Apocalisse  Cristo compirà la 'ricapitolazione' e coloro che saranno uniti a lui formeranno la comunità dei redenti, che non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall'amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione" (CCC, 1045).

La Chiesa, sposa innamorata dell'Agnello, con lo sguardo fisso a quel giorno di luce, eleva l'invocazione ardente: "Maranathà" (ICor 16,22), "Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22,20). UDIENZA GENERALE Mercoledì, 14 febbraio 2001.

 

Verso cieli nuovi e una terra nuova

  1. La Seconda Lettera di Pietro, ricorrendo ai simboli caratteristici del linguaggio apocalittico in uso nella letteratura giudaica, addita la nuova creazione quasi come un fiore che sboccia dalle ceneri della storia e dei mondo (cfr 3,11-1 2) un'immagine che sigilla il libro dell'Apocalisse, quando Giovanni proclama: "Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più" (Ap 2 1, 1). L'apostolo Paolo, nella Lettera ai Romani, descrive la creazione gemente sotto il peso dei male, ma destinata ad "essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,2 1).

  La Sacra Scrittura inserisce così quasi un filo d'oro in mezzo alle debolezze, miserie, violenze e ingiustizie della storia umana e conduce verso una meta messianica di liberazione e di pace. Su questa solida base biblica, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che "anche l'universo visibile è destinato ad essere trasformato, affinché il mondo stesso, restaurato nel suo stato primitivo, sia, senza più alcun ostacolo, al servizio dei giusti", partecipando alla loro glorificazione in Gesù Cristo risorto" (CCC, 1047; cfr sant'Ireneo, Adv. haer., 5,32). Allora finalmente, in un mondo pacificato, "la sapienza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare" (Is 11.9).

  2. Questa nuova creazione, umana e cosmica, è inaugurata con la risurrezione di Cristo, primizia di quella trasfigurazione a cui tutti siamo destinati. Lo afferma Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: 'Prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà  il Regno a Dio Padre ( ... ). L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte... perché Dio sia tutto in tutti" (lCor 15,23.24.26.28).

Certo, è una prospettiva di fede che talora può essere tentata dal dubbio, nell'uomo che vive nella storia sotto il peso dei male, delle contraddizioni e della morte. Già la citata Seconda Lettera di Pietro se ne fa carico, riflettendo l'obiezione di quanti sono, sospettosi o scettici o persino "schernitori beffardi" e s'interrogano: "Dov'è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione" (2Pt 3, 3.4). Questo è l'atteggiamento scoraggiato di coloro che rinunciano ad ogni impegno nei confronti della storia e della sua trasformazione. Essi sono convinti che nulla può mutare, che ogni sforzo è destinato ad essere vanificato, che Dio è assente e per nulla interessato a questo minuscolo punto dell'universo che è la terra. Già nel mondo greco alcuni pensatori insegnavano questa prospettiva e la Seconda Lettera di Pietro forse reagisce anche a questa visione fatalistica dagli evidenti risvolti pratici. Se, infatti, nulla può cambiare, che senso ha sperare? C'è solo da porsi ai margini della vita, lasciando che il movimento ripetitivo delle vicende umane compia il suo perenne ciclo. Su questa scia molti uomini e donne sono ormai accasciati al bordo della storia, privi di fiducia, indifferenti a tutto, incapaci di lottare e di sperare. La visione cristiana è illustrata, invece, in modo limpido da Gesù allorché interrogato dal farisei: 'Quando verrà il Regno di Dio?', rispose. '11 Regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il Regno di Dio è in mezzo a voi!"    (Lc 17,20.2 1).

  4. Alla tentazione di quanti suppongono scenari apocalittici di irruzione dei Regno di Dio e di quanti chiudono gli occhi appesantiti dal sonno dei l'indifferenza, Cristo oppone la venuta senza clamore dei nuovi cieli e della nuova terra. Tale venuta è simile al nascosto eppur fervido germogliare dei seme nella terra (cfr Mc 4,26.29).

  Dio, dunque, è entrato nella vicenda umana e nel mondo e procede silenziosamente, attendendo con pazienza l'umanità con i suoi ritardi e condizionamenti. Egli ne rispetta la libertà, la sostiene quando è attanagliata dalla disperazione, la conduce di tappa in tappa e la invita a collaborare al progetto di verità, di giustizia e di pace dei Regno. L'azione divina e l'impegno umano devono pertanto intrecciarsi tra loro. "Il messaggio cristiano, lunai dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lunai dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente" (Gaudium et spes, 34).

  5. Si apre, così, davanti a noì un tema di grande rilievo che ha sempre interessato la riflessione e l'opera della Chiesa. Senza cadere negli estremi opposti dell' isolamento sacrale e del secolarismo, il cristiano deve esprimere la sua speranza anche all'interno delle strutture della vita secolare. Se il Regno è divino ed eterno, esso è però seminato nel tempo e nello spazio: è "in mezzo a noi" come dice Gesù.

  Il Concilio Vaticano Il ha sottolineato con forza questo legame intimo e profondo: 'la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l'ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico" (Apostolicam actuositatem, 5). L'ordine spirituale e quello temporale, "sebbene siano distinti, tuttavia nell'unico disegno divino sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creatura, in modo iniziale su questa terra, in modo perfetto nell'ultimo giorno"(ivi).

  Animato da questa certezza, il cristiano cammina con coraggio per le strade dei mondo cercando di seguire i passi di Dio e collaborando con lui a far nascere un orizzonte in cui "misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (Sai 85 [84],11). UDIENZA GENERALE Mercoledì, 31 gennaio 2001